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Se il lavoro è lo stesso perché le tutele devono essere diverse?

Perché i dipendenti pubblici devono avere un trattamento di maggior favore rispetto al lavoro privato? Che differenza c'è fra stare al computer per conto di una amministrazione pubblica o di una privata?

Una sottile disputa giuridica è in corso in queste ore. Riguarda l’applicabilità delle nuove norme sui licenziamenti al pubblico impiego. Il governo la esclude. Pietro Ichino la afferma. Le sue sono dichiarazioni pesanti: sia perché della riforma è uno degli ispiratori sia perché è stato uno dei relatori della legge. Una lite sottile sull’interpretazione del diritto cui noi, uomini della strada, non abbiamo strumenti e conoscenze per intervenire.

Tuttavia una cosa possiamo dirla, una domanda possiamo farla: perché no? Perché i dipendenti pubblici devono avere un trattamento di maggior favore rispetto al lavoro privato? Che differenza c'è fra stare al computer per conto di una amministrazione pubblica o di una privata? E un ospedale: non si occupa sempre di cura della salute indipendentemente dal fatto che appartenga alla Regione o sia un impresa esposta alla concorrenza?

Ecco è questo che vorremmo capire: se il lavoro è lo stesso perché le tutele devono essere diverse? Non sono tutti lavoratori allo stesso modo? Come si giustifica la differenza se non alla luce di ingiustificabili benefici. È fuori discussione che i lavoratori pubblici oggi appartengano ad una casta. Godono di garanzie diventate privilegi visti i guasti provocati dalla lunga recessione all'economia nazionale. La crisi non mette a rischio il loro posto di lavoro mentre fa strage di quello privato. Licenziarli è impossibile anche se non lavorano e si iscrivono stabilmente nella lista dei fannulloni.

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