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Gritti: «L’Isis? È Come le nostre mafie.
E ha la pretesa di fondare uno Stato»

Per il professore non si può e non si deve dialogare con questi terroristi: «Sarebbe una trattativa nella quale abbiamo tutto da perdere»

PALERMO. Cosa loro, ma non solo: l'Isis come la criminalità organizzata. E averci a che fare, pur solo diplomaticamente o sotterraneamente, equivarrebbe - continuando nell'iperbole - a una vera “trattativa Stati-mafia”. Questa sì, fuori da ogni ragionevole dubbio processuale. Illegalità, crescente transnazionalità e minaccia incombente, prima ancora che per l'Occidente, per l'Islam “normale”. E no, la Sicilia non tema eccessivamente gli infiltrati del terrore, magari tra le file dei migranti che sbarcano, anche se su queste presunte cellule è caduta l'attenzione dei media negli ultimi giorni. Netta, l'opinione di Roberto Gritti, esperto di questioni mediorientali e docente di Sociologia della politica e delle relazioni internazionali all'Università La Sapienza di Roma.

Professore, quanto e come incombe la minaccia Isis?

«L'allarme esiste come per tutte le democrazie occidentali, seppure in grado minore per il ruolo defilato dell'Italia nello scacchiere mediorientale. Il nostro territorio può temere più la presenza terroristica in termini di basi logistiche e di fonti di finanziamento, che di attentati concreti. L'obiettivo numero uno restano gli Stati Uniti, un gradino più sotto Israele e le potenze più esposte cone Inghilterra, Francia e Germania».

Training di guerra sull'Etna, e ora sospetti terroristi sui barconi dei migranti. La Sicilia è il fianco scoperto?

«Propaganda. Anzi, talvolta può trattarsi di un suo sottoprodotto. L'Isis ha dimostrato di saper maneggiare benissimo gi strumenti di comunicazione e, come disse Margaret Thatcher, sono proprio propaganda e comunicazione l'ossigeno del terrore. Non lasciamoci impressionare dai ’selfie’ di quache giovane musulmano sulle pendici dell'Etna o della temutissima foto con il fucile imbracciato che fungerebbe da parola d'ordine per gli adepti. Ricordiamoci quando Tony Blair, in occasione degli attentati nella metropolitana di Londra, censurò di fatto la diffusione di immagini. Non dare visibilità, talvolta, andrebbe fatto. Piuttosto, il pericolo è quello del cane sciolto, ma niente allarmismo: è proprio questo lo scopo del Califfato».

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