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Renzi, l’azzardo calcolato è il suo mestiere

Alle prime difficoltà di Matteo Renzi, qualcuno ha rubato un'immagine a Celentano per paragonarlo a una meteora che fischia e se ne va. È probabile invece che la citazione più idonea per il presidente del Consiglio vada presa da una lettera che Vittorio Alfieri scrisse a Ranieri de' Casalbigi dopo il successo della sua prima tragedia, Cleopatra. «Vòlli, E Vòlli Sèmpre, E Fortissimaménte Vòlli», disse l'Astigiano (con tanto di maiuscole e di accenti) per significare la sua fermissima volontà di diventare autore tragico. Quando nel 2009 si candidò con sprezzo del pericolo alle primarie per diventare sindaco di Firenze (pochissimi scommettevano uno spicciolo sul suo successo), Renzi promise ai suoi: «O vinco o cambio mestiere».
Il carattere dell'uomo resta quello. L'azzardo calcolato è il suo pane quotidiano. Abituato al doppio salto mortale, Renzi si costruisce una invisibile (ma per ora solidissima) rete di protezione combattendo il Palazzo dal Palazzo. Rivolgendosi all'Italia della signora Maria, parlando più volentieri con la base che con le Altezze, girando spesso in jeans e camicia con le maniche tirate su, il presidente del Consiglio dà l'idea di essere «uno di noi» che si batte finalmente contro quelli che il mitico corsivista della scomparsa Unità, Fortebraccio, tanti anni fa chiamava Lorsignori. Gli ottanta euro, l'abbattimento degli stipendi pubblici più alti, la lotta contro le sovrastrutture burocratiche gli hanno consegnato una dote del 40.7 per cento dei voti, roba che non succedeva dai tempi di De Gasperi, che erano altri tempi. Conta poco per l'opinione pubblica che trovare i dieci miliardi per gli ottanta euro strutturali sia un'impresa titanica, che i ricorsi contro il ridimensionamento economico dei contratti in corso siano in larga parte destinati al successo, che nella sacrosanta riforma burocratica si rischi talvolta di gettare il bambino insieme con l'acqua sporca, che tra i tanti Mandarini marci buttati via ce n'era da salvare più d'uno succosissimo, che la stessa riforma del Senato (fermo restando l'indispensabile monocameralismo di fatto) poteva esser fatta in modo meno pasticciato.
I sondaggi continuano a premiare Renzi e il suo partito. E se la volontà è il principio di ogni intrapresa, abbiamo la sensazione che l'avventura politica del presidente del Consiglio sia piuttosto durevole. Peraltro, oltre ad attingere all'Alfieri, converrà dire con Virgilio Audentis fortuna iuvat, la fortuna aiuta gli audaci. Le spericolatezze di Renzi avrebbero già abbattuto di schianto Berlusconi e perfino Prodi, che pure poteva contare (a volte) sui morbidi cuscini dei Poteri Forti che al Cavaliere sono sempre mancati. Egli si trova a fronteggiare i colpi di coda di una crisi micidiale, ma ha dalla sua un'Europa che per la prima volta si interroga sui contraccolpi di una austerità cieca. Ha una Francia con tanti parametri peggiori dei nostri, con un Hollande che gli va dietro come un cagnolino, visto che il 41 per cento fa di Renzi il leader socialista europeo (mentre Sarkozy ridacchiava con la Merkel), una Merkel che - dietro pacche sulle spalle uguali a quelle date senza risultato a Monti e a Letta -stavolta è per forza di cose orientata a maggiore disponibilità. Una virtù assoluta va comunque riconosciuta al presidente del Consiglio: si assume le responsabilità in prima persona. Quando perse le primarie con Bersani, in un bellissimo conceding speech di otto minuti disse ai suoi: «Scusate, la colpa è mia». Convinto, com'è giusto, che l'economia è il braccio destro della politica, ha dato il benservito a Cottarelli e ha messo in piedi a palazzo Chigi un superdipartimento economico guidato da due uomini suoi, Yoram Gutgeld (che sta già facendo la spendind review renziana) e Filippo Taddei. A Berlusconi Tremonti non ha mai consentito nemmeno di portarsi un ragioniere da casa, né Prodi ha fatto niente di simile con Padoa Schioppa. Renzi ha la fortuna di avere in Pier Carlo Padoan il più politico dei tecnici. Tanto politico da difendere con dignità le esigenze dell'Italia all'estero, sapendo che in casa è il presidente del Consiglio che comanda. L'autunno si annuncia con nubi nerissime. Speriamo con tutto il cuore in una schiarita. Ma se mai le cose non andassero per il verso giusto, Renzi non se la prenderà con i Gufi.

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