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Il passato cattolico di Obama

È il terzo incontro di Barack con un Francesco. Con un Santo, un Cardinale, un Papa. Da bambino, da attivista, da presidente degli Stati Uniti. In Asia, in America, adesso a Roma. Il primo fu un contatto casuale, il secondo finì in uno scontro, il terzo potrebbe portare a un abbraccio. Quando aveva sei anni la mamma Anna lo portava qualche volta a messa in una delle poche chiese di Giakarta. Si era risposata con un indonesiano teoricamente musulmano, il figlio l'aveva iscritto in una scuola elementare cattolica dal nome leggermente storpiato: Santo Fransiskus Asisi, però non lo aveva battezzato e lui avrebbe aspettato a farlo quando aveva 30 anni e non da cattolico. La mamma era, come si diceva allora, «libera pensatrice», gli leggeva la Bibbia commentandola con un occhio da antropologa quale era, lo portava in visita, a turno, nei luoghi di culto di tutte le Fedi, soprattutto indù e buddhista. Dopo un paio d'anni lo iscrisse a una scuola di Stato, indonesiana e dunque «appoggiata» a una moschea. Neanche lui era molto pio. Lo confessa nelle sue memorie: «Quando veniva il momento di pregare facevo finta di chiudere gli occhi e gettavo sguardi furtivi nella stanza. Non scendeva nessun angelo. C'erano solo una vecchia monaca e trenta bambini di pelle come la mia».
Il vero rapporto di Barack Obama con il cattolicesimo cominciò una ventina d'anni più tardi, con una offerta di lavoro su un giornale. La diocesi di Chicago cercava un «organizzatore» di pelle nera in grado di gestire certi suoi programmi sociali. Correvano gli anni Ottanta, tempo di entusiasmi postconciliari, con una nuova enfasi sul sociale. I vescovi americani rispondevano all'appello ad occuparsi più dei poveri, particolarmente a Chicago in quegli anni che avevano appena visto il collasso delle sue acciaierie e un'ondata di povertà simile a quella che oggi conosce Detroit. L'arcivescovo Joseph Bernardin cercava soprattutto di agevolare la nascita di una «etica consistente di vita» anche al di là delle parrocchie cattoliche verso le chiese protestanti, frequentati dalla maggioranza degli afroamericani. C'era bisogno di un organizzatore e all'appello rispose un certo Barack Obama che si era fatto un po' di esperienza a New York. Lo assunsero, con una paga di 10 mila dollari l'anno. Non sapeva molto di cattolicesimo, però aveva letto e approfondito le Confessioni di Sant'Agostino in un momento di «esplorazione spirituale». Gli spiegò che avrebbe dovuto occuparsi di sviluppo economico e quindi evitò - racconta anche questo nelle sue memorie - di «fare troppe domande sul catechismo», ma vivendo circondato da preti e congregazioni, teneva riunioni nella sagrestia della cattedrale e «guidava» anche le preghiere.
A questo equilibrio mise fine l'incontro con il secondo Francesco, di cognome George, un intellettuale conservatore che si occupava più di morale che di economia e si batteva contro il controllo delle nascite e soprattutto il «diritto all'aborto», due «mali» che Obama preferisce invece aggirare, incoraggiando soprattutto le adozioni. Col risultato di trovarsi in contrasto con le gerarchie cattoliche in tutte le sue campagne elettorali, comprese quelle che per due volte lo portarono alla Casa Bianca.
Ed ecco il terzo Francesco, Jorge Bergoglio, e il nuovo mutamento di accenti che emerge dai suoi discorsi e, potenzialmente, nelle istituzioni della Chiesa. Questo Papa non la pensa diversamente dai predecessori sull'aborto e sul matrimonio omosessuale ma riporta, o almeno così pare a Obama, l'accento suoi poveri e sui «vulnerabili», legge il Vangelo più come un Annuncio di Gioia che come un catalogo di divieti. Ci sarà un abbraccio, di idee oltre che di incontro umano? Gli entusiasti parlano già di un «accordo fatto in Cielo», soprattutto con un gesuita di nome Lyke, che conosce Obama dai tempi in cui frequentavano assieme la Cattedrale del Santo Nome di Chicago. Gli «esperti», o semplicemente più equilibrati, pensano che dovrà essere soprattutto Mr. President ad ascoltare Sua Santità. Ma in un modo o nell'altro, dicono, «noi cattolici siamo molto contenti di riaverlo finalmente fra noi».

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