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Democrazia e vergogna

Stefano Fassina ha detto di aver provato vergogna per l’ingresso di Berlusconi nella sede del Pd. L’ha considerata una profanazione. Gianni Cuperlo, presidente del partito ha espresso le sue riserve e aspetta la direzione di oggi per vedere che cosa succede. Le anime belle della sinistra sono scandalizzate. A loro parere il Cavaliere non è più un interlocutore politico, essendo stato dichiarato decaduto a seguito della condanna per reati fiscali. Dimenticano che la perdita del seggio senatoriale non comporta anche la decadenza dal ruolo di leader.
Volendo essere pignoli potremmo aggiungere che non solo Berlusconi ma anche Renzi e Grillo restano capi dei loro partiti pur non essendo parlamentari.
I dubbi espressi da tanti dirigenti del Pd appaiono ancor meno giustificabili alla luce di alcune considerazioni. La prima è che il Cavaliere dopo la condanna che gli è stata inflitta per reati fiscali ha il diritto di scegliere fra gli arresti domiciliari e l’assegnazione ai servizi sociali. Ha annunciato la seconda opzione: fino a quando il giudice non deciderà la sede della pena è un cittadino a piede libero. Si dice: ma c’è l’interdizione. Giusto. Questo però non gli impedisce di restare leader di Forza Italia non trattandosi di carica istituzionale. Aggiungiamo che sulla durata del divieto si aspetta la decisione della Corte di Cassazione dopo la sentenza dei giudici di Milano che, proprio su indicazione della Suprema Corte, avevano ridefinito i termini. Cavilli giuridici? Forse. Resta il fatto che le anime belle della sinistra, sempre gelose delle qualità dei magistrati, non possono protestare se, per una volta, le procedure giudiziarie non si accomodano ai tempi dei loro desideri.
Seconda considerazione: gli estremismi di partito non possono fare strage dei doveri di una Repubblica. La democrazia, come il mercato (non a caso spesso sinonimi), non è altro che un sistema di regole condivise cui i cittadini accettano di sottostare. Rompendo il patto si apre la strada al totalitarismo. Le regole, ovviamente, possono essere cambiate ma come in tutti i contratti è opportuno coinvolgere il maggior numero possibile di partecipanti. Le rotture unilaterali si possono anche fare. Poi però bisogna mettere nel conto la protesta degli esclusi. Esattamente come fece la sinistra quando il Pdl, a colpi di maggioranza, modificò la legge elettorale. Allora gli eredi del vecchio Pci parlarono di una ferita alla democrazia. Ora che tocca a loro però vorrebbero fare la stessa cosa escludendo dal negoziato Forza Italia e il suo leader. Piuttosto incoerente.
Terza considerazione: la posizione di Renzi appare molto corretta. Vuole una nuova legge elettorale per garantire la governabilità. Chi vince si prende Palazzo Chigi e gli altri vanno all’opposizione. Per raggiungere l’obiettivo deve trattare con Berlusconi per scrivere un sistema di regole che, in caso di vittoria, consenta al Pd di potere governare senza il Cavaliere. Altrimenti è costretto a fare le larghe intese come negli ultimi due anni. Un ammonimento per gli anti-Cav di carriera.
Quarta considerazione. Il ruolo dei partiti minori. Fa bene Angelino Alfano a rivendicarne la funzione nel processo di riscrittura delle regole. Tanto più che in Italia sono essenziali in quanto nessuna formazione politica, da sola è mai riuscita ad avere la maggioranza assoluta. Il traguardo è sempre stato raggiunto con un patto di coalizione. Tuttavia i principi di rappresentatività vanno rispettati. Non è possibile continuare con le formazioni meno votate che ottengono un potere sproporzionato al loro peso elettorale. Per quanto minuscoli, infatti, i partitini sono oggi indispensabili per la formazione di un governo. Un diritto di veto che ribalta i principi della democrazia perché limita le facoltà dei grandi partiti votati da milioni di italiani.
Riflettendo su queste considerazioni forse si potrà arrivare, finalmente, ad avere un Paese normale con l’alternanza democratica fra maggioranza e opposizione. Perché è vero che con le riforme elettorali non si mangia. Ma certamente apparecchiano la tavola.

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