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Partecipate, sul personale macelleria sociale? No comment

Scopriremo solo in futuro se le aziende decotte saranno chiuse rapidamente e se quelle importanti saranno efficienti

È un atto forte di denuncia quello che arriva dalla Corte dei Conti della Sicilia e che porta sul banco degli imputati, con «ampia facoltà di prova», il sistema delle società partecipate regionali. Come si può leggere nella puntuale ricostruzione che ne fa Giacinto Pipitone a pagina 6 di questo Giornale, siamo in presenza di un buco nero che, sommandosi al girone infernale del precariato, continua ad alimentare l’insana passione della Regione per il ruolo di imprenditore diretto.
Non sono bastati in questi anni i richiami più autorevoli, le critiche più spietate, le contestazioni più roboanti, per intaccare almeno questa visione del ruolo della Regione. Una Istituzione, una grande istituzione, occupata quasi in maniera militare e strenuamente impegnata a dare corpo ad una aspirazione mai negata, ad un sogno ricorrente: fare impresa.
È stato così nel passato con la Sofis, con l’EMS e con l’ESPI; è così ancora oggi grazie (si fa per dire) ad un complesso spiegamento di società (di cui più della metà in perdita e/o in liquidazione). Ovviamente non è questo il ruolo cui lo Statuto speciale chiama la Regione, ma è difficile sottrarsi alla tentazione di ricercare il consenso elettorale attraverso enti e società pubblici, come ha candidamente ammesso qualche mese fa un deputato regionale molto sensibile alle ”sirene” della formazione. Eppure oggi qualche cosa sembra muoversi, almeno nella direzione di una possibile inversione di marcia.
Per un fatto sicuramente casuale, a distanza di pochissime ore arriva, insieme alla proposta di legge finanziaria, l’atto d’accusa della Corte dei Conti corredato di un avviso perentorio: chiudete subito le società in perdita e in liquidazione (qualcuna addirittura da quasi trent’anni). Proprio nelle stesse ore il governo regionale depositava all’ARS la legge finanziaria 2014 (ora si chiama di stabilità), con un passaggio normativo esplicito. La Regione dichiara formalmente che soltanto nove società partecipate hanno carattere strategico e quindi meritevoli di andare avanti. Si tratta di Ast, Sas, Sicilia e Servizi, Riscossione Sicilia, Irfis, Sviluppo Italia Sicilia, Siciliacque, Parco Scientifico e Servizi di emergenza sanitaria.
Se il Parlamento regionale si adeguasse a queste indicazioni, tra poco tempo potremmo avere un forte sfoltimento del quadro, una sensibile economia di costi ed una indicazione precisa delle società e quindi dei servizi che la stessa legge definisce appartenenti ad «aree strategiche».
Del resto si tratta di aree riguardanti il trasporto pubblico, i beni culturali, la informatizzazione dei servizi, la riscossione delle imposte, il credito per investimenti, lo sviluppo economico, il ciclo idrico, la ricerca ed i servizi sanitari emergenziali. Sulla carta nulla da obiettare sul fatto che la Regione voglia presidiare, con strutture di diretto controllo, ambiti tanto rilevanti per l’interesse generale; resta ovviamente da capire come ci si atteggerà per il futuro. Visto che per il passato la gestione di queste società non ha certo fornito riscontri positivi, ma ha concorso al contrario a travolgere la fragile diga del bilancio pubblico regionale. Tra gli addetti ai lavori viene seguito con particolare attenzione il decreto legislativo 33 dell’aprile scorso (che si applica anche in Sicilia).
Si parla di trasparenza ed anticorruzione. Non è un caso che il decreto in questione rechi il titolo «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni».
Ebbene il decreto dedica uno spazio non da poco alle società partecipate; per non tediare il Lettore, basti dire che non un solo atto, non una sola spesa, una sola delibera, una sola assunzione, una sola consulenza, un solo gettone per gli amministratori, possono sottrarsi agli obblighi di pubblicità. Ebbene nulla di tutto questo trova riscontro nei siti internet delle varie società. Nella impossibilità di esaminare caso per caso, ci limitiamo a citare un dato rilevato dal Censis e diffuso con il recentissimo «Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2013». Ebbene il Censis critica aspramente l’inadempienza delle regioni italiane in materia di trasparenza e pubblicità degli atti, denunciando come una vera e propria elusione della norma sulla trasparenza le scelte di regioni come il Piemonte o il Friuli, rei a suo dire di rispettare il dettato normativo «soltanto» nel 62% dei casi. E che dire allora della Sicilia che ha spuntato un miserrimo 28% rispetto agli standard vigenti già da aprile scorso?
Se qualcuno, mai, è tentato di credere che si tratta di una semplice diffusione di informazioni sul web, pesa il monito della Corte dei Conti, quando segnala come il deficit di trasparenza «sia in grado di fare lievitare i prezzi delle opere pubbliche fino al 40%».
Scopriremo soltanto nel futuro prossimo se le società partecipate regionali decotte saranno chiuse rapidamente e se quelle «strategiche» sapranno interpretare in maniera efficiente il ruolo loro assegnato. Quello che deve essere certo fin da ora è che una società che non funziona deve avere un solo destino: la chiusura. Poi per gli incolpevoli dipendenti si appronteranno adeguati paracadute. Male che vada risulteranno azzerati gettoni di presenza, consulenze, auto blu, spese di locali, bollette e tutte quelle spese che la fervida immaginazione di amministratori e politici è riuscita a spacciare per attività istituzionali. Mutande verdi comprese!

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