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Licenziare i manager? Che sia un obbligo

Un passo indietro e mezzo avanti nella legge di Stabilità attualmente all'esame del Senato. Mettiamo a fuoco le questioni delle società partecipate, in attesa di avere il quadro generale. Per questi carrozzoni con i bilanci quasi sempre in rosso, le ultime formulazioni della legge prevedono che non ci saranno vendite obbligatorie per le aziende dei Comuni fino a 50 mila abitanti, previste dal 2010 e poi rinviate da una serie di proroghe. Salta anche la privatizzazione delle società strumentali, cioè quelle che lavorano quasi solo con la Pubblica amministrazione: la spending review varata nel 2012 dal governo Monti imponeva di venderle o chiuderle entro il prossimo 31 dicembre. Tutto abrogato: il panorama delle società di enti locali, Regioni e ministeri resta quindi invariato. Al posto delle sforbiciate, sempre rimaste sulla carta, il governo tenta la strada del controllo dei bilanci, imponendo agli enti che posseggono società in perdita di accantonare riserve e prevedendo, ma solo dal 2017, la chiusura obbligatoria delle aziende che presentano bilanci in rosso per quattro anni consecutivi. Confermata, ma solo a partire dal 2015, la possibilità di «licenziare» gli amministratori delle partecipate che chiudono in perdita per due anni consecutivi. Sempre dal 2015, potrebbe arrivare un taglio del 30% ai compensi dei manager delle società controllate che chiudono in perdita per tre anni consecutivi. Nella formulazione si usano proprio queste parole: i manager «possono» essere licenziati e i compensi «possono» essere tagliati. Ma questi testi invece avrebbero bisogno della parola «devono». Allora sì che non rimarrebbero nel libro dei sogni.

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