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Benefit e premi ai regionali, un privilegio tutto siciliano

Le voci del web: c’è chi evidenzia le differenze con gli altri impiegati pubblici. C’è chi si difende: non è così

Nell'edizione del 2 novembre il Giornale di Sicilia ha pubblicato un articolo sui premi di produzione riservati ai dipendenti regionali, a firma di chi scrive, che ha stimolato numerosi interventi sul web; può risultare chiarificatrice un'ulteriore, sintetica riflessione. Cominciamo con il dire che nel commento non si sparava nel mucchio, come peraltro non è nella linea editoriale di questo Giornale, ma si voleva piuttosto mettere in evidenza che gli interessi del personale regionale, per quanto il più delle volte legittimi, spesso risultano messi in discussione da politiche opache. Riporto un brano di quell'articolo. «In una regione che supera ampiamente i cinque milioni di abitanti e che è gravata da funzioni che in altre parti d'Italia sono a carico dello Stato, non fa clamore che ci siano migliaia di dipendenti e che questi costino complessivamente una cifra a nove zeri. Fa scalpore invece l'opacità delle politiche pubbliche in materia di personale». Ed a sostegno di questa affermazione veniva portato un esempio. Nel 2010 fu varata (governo Lombardo) la legge che rideterminava l'organico regionale. Rispetto alla precedente pianta organica, il numero dei dipendenti è aumentato in un colpo solo del 45%; il legislatore siciliano, alterando la realtà, ha giustificato il provvedimento dando all'articolo di legge il titolo irridente «Misure urgenti di sostegno all'occupazione». Nel commento veniva criticata anche la prassi di riconoscere un premio in denaro ai dipendenti regionali che raggiungono gli obiettivi loro assegnati dai dirigenti, distribuendolo però con una discutibile procedura: quella di assegnare nella stessa misura il premio tra «tutti» i componenti dello stesso ufficio, come se tutti dessero lo stessa prova di impegno. Un modo, si diceva, per uccidere a monte persino l'idea di premiare il merito individuale. Ma veniamo ai lettori intervenuti con proprie considerazioni. In buona misura mostrano di condividere i contenuti dell'articolo in parola, non mancando di proporre soluzioni specifiche, come ad esempio bloccare i premi di produttività «a tutti» oppure ridurre il numero dei «tanti dirigenti» o magari «dimezzare gli stipendi dei giudici della corte costituzionale» accompagnando questa proposta con qualche considerazione da menagramo. Ma al di là di talune forzature dialettiche, in parte alimentate dal diffuso ricorso all'anonimato, emerge qualche volta una forma di acredine tanto da parte di chi non sembra essere dipendente regionale, come anche da parte di chi evidentemente lo è. Tra quanti non mostrano di essere dipendenti regionali arrivano - complice la crisi economica - critiche ruvide sui «privilegi ingiustificati» e sulle «incolmabili differenze» con gli altri dipendenti pubblici e non manca chi contesta «gli straordinari». Un lettore in particolare sottolinea acutamente come il problema si origini con lo Statuto speciale e con l'abuso che se ne è fatto in tanti anni. Dal fronte (presunto) dei dipendenti regionali arrivano numerosi argomenti a difesa. Il che sarebbe anche fisiologico se le osservazioni non fossero dettate da una certa approssimazione. Non serve infatti indugiare in una disinformazione sistematica, alla quale spesso non si sottraggono neanche i Sindacati. La Corte dei Conti ad esempio afferma, senza lasciare margini di dubbio, che i regionali in senso stretto sono oltre venti mila (esclusa la sanità); eppure qualche lettore si ostina a parlare di 16 mila dipendenti. La stessa Corte ancora informa che negli ultimi dieci anni la quota base dello stipendio dei regionali è cresciuta del 15% mentre la parte accessoria è lievitata del 36%. Eppure qualche lettore nega questa evidenza contabile affermando, con una evidente asimmetria temporale, che «dal 2008» gli stipendi non crescono e giudicando inspiegabile quindi l'aumento segnalato dalla Corte e riportato nel commento in parola.
Non mancano poi alcuni curiosi esempi di radicalismo e difficoltà al confronto, come nel caso del lettore che si rivolge a chi scrive con la curiosa domanda «ma lei si è mai chiesto quanto ci costate voi»? Se il riferimento del cortese lettore è al compenso per l'autore dell'articolo, va segnalato che si tratta di un costo sopportato comunque dall'editore e non certo dai contribuenti, se invece il riferimento è al costo del giornale questo non sembra tale da giustificare una critica. Resta infine il caso, anch'esso emblematico, dei «cinque mila dipendenti regionali» che, secondo un lettore, si collocherebbero con i loro stipendi ben «al di sotto della soglia di povertà». In realtà l'affermazione non pare sostenibile, stando almeno a quello che si intende per soglia di povertà (sono tali le famiglie con due minori, residenti nel mezzogiorno ed al di sotto dei 1.275 euro mensili; Istat), ma colpisce la «verve» difensiva del lettore. Forse, detto con il massimo rispetto, anche queste prese di posizione sono il frutto avvelenato di una eccessiva politicizzazione delle scelte relative ai dipendenti regionali, sulle cui spalle sono state edificate tante ingloriose carriere politiche.

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