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Facebook, quelle libertà di cui faremmo a meno

Con chi ha più senso prendersela? Con gli idioti che vomitano schifezze sui social network, seminando odio razziale senza neanche un briciolo di reale coscienza? O con chi sta nelle sale di comando degli stessi social network, per vigilare e filtrare i contenuti e però fa spallucce adducendo superficiali motivazioni a difesa delle mancate censure? Insomma, è la solita annosa questione che galleggia fra etica e sociologia: in termini puramente metaforici (chè, visto il tema, va evidentemente precisato) sbaglia di più chi preme il grilletto o chi gli consegna l’arma? Perchè, giova ricordarlo, la rete è una sorta di territorio franco in cui i limiti dell’espressione di massa e i confini fra lecito e illecito sono ancora nebulosi, indefiniti. Un po’ come le curve negli stadi. Parallelo tutt’altro che casuale, del resto. Il razzismo - nelle sue molteplici sfaccettature, sia esso di natura territoriale o cromatico - dilaga laddove è foraggiato dalla vaga consapevolezza di impunità. I cori delle frange estreme di tifosi che non trovano di meglio che sommergere di buu razzisti i calciatori avversari di colore (dimenticando quelli che indossano la propria maglia del cuore) o sloganeggiare sugli stereotipi infamanti che dividono ogni regione italiana dall’altra - quasi fossero mondi distanti - sono perfettamente riproposti sulla rete. Al massimo paga la società di calcio che ospita la partita (nel primo caso) o... nessuno (nel secondo).
Del resto, si può forse normare l'educazione ma, ahimè, non la sensibilità. Quella che è utopico richiedere a chi gigioneggia su eruzioni devastanti, stermini di massa, mafie, camorre e porcherie affini. Ma che è doveroso chiedere - anzi pretendere - da chi è chiamato appunto a vigilare e filtrare. La risposta ottenuta dall’avvocato che ha segnalato alle alte sfere di Facebook la pagina con cui ci si augura che l’Etna si avvii all’esplosione finale qualifica chi la consente più ancora di chi la realizza. Internet resta l’avamposto più estremo del concetto di libertà. Bello, bellissimo. Ma va gestito. Altrimenti si trasforma sempre più in una giungla in cui tutto è permesso. Con il solo risultato di sfociare nel primordiale concetto di sopravvivenza, basato sulla violenza e la sopraffazione dell’altro. Una libertà di cui francamente faremmo volentieri a meno. Così come, vivaddio, faremmo volentieri a meno di certi esercizi di nauseante dialettica degna del più becero bullismo di retrovia. La rete è un mondo meraviglioso. Finchè resta frequentabile. Non lo capisce chi la insozza. Se ne renda almeno conto chi deve tenerla pulita.

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