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«Salgono tasse e debiti ma cresce ancora la spesa pubblica»

In 12 anni gli oneri sono passati da 1.300 a oltre 2.000 miliardi di euro. A frenare i tagli una vera e propria casta

di STEFANO SANDRI
Negli ultimi dodici anni, dal 2000 al 2012, l'italia ha avuto tre diversi governi, il Berlusconi-Tremonti dal 2001 al 2006 e poi dal 2008 al 2011, il Prodi-PadoaSchioppa dal 2006 al 2008 e infine il governo Monti nel 2012. In ciascuno di questi dodici anni questi governi hanno sempre annunciato tagli di spesa e aumenti di entrate che avrebbero dovuto comportare, a rigor di logica, una sensibile riduzione del debito pubblico.
Ma è avvenuto il contrario, dal momento che quest'ultimo è cresciuto nello stesso periodo da 1300 a oltre 2000 miliardi di euro, con una spesa per interessi che tenderà a salire verso la preoccupante quota di 100 miliardi e sempre che lo spread si attesti su una media di 250 punti base. Il debito è aumentato e continuerà ad aumentare perchè la realtà storica dei consuntivi annuali dimostra inequivocabilmente come la spesa pubblica, specie nella sua parte corrente, sia cresciuta assai più degli introiti fiscali. Le tasse sono aumentate da 536 a 764 miliardi e le spese da 536 a 805 miliardi, rispettivamente con un incremento di 228 e 270 miliardi.
L'intero aumento della spesa è dovuto alla sua parte improduttiva, quella corrente, in quanto quella relativa agli investimenti produttivi, in conto capitale, è ferma ai valori del 2000. Se si vuole approfondire la distanza tra le promesse e la realtà e quindi le relative responsabilità, in testa a tutti vi sono i due governi Berlusconi-Tremonti che hanno aumentato le tasse di 156 miliardi a fronte di un aumento delle spese di 206 miliardi, seguiti dal Prodi-PadoaSchioppa, rispettivamente con 52 e 60 miliardi e con una relativa inversione di tendenza del governo Monti che ha contenuto l'incremento di spesa in 8 miliardi e aumentato le tasse di 20.
La scandalosa enormità di questi numeri ci fa capire che il destino dell'Italia non sarebbe diverso da quello della Grecia, se non avessimo una struttura industriale ancora competitiva che, con le proprie esportazioni , ci consente ancora di sopravvivere, portando il peso crescente e mortale di una parte  improduttiva che si dilata sempre più e succhia risorse come una sanguisuga. Capirebbe anche un bambino che un'effettiva e consistente riduzione della spesa corrente è l'unica manovra che ci consentirebbe di rilanciare la crescita mantenendo in equilibrio i conti pubblici ed evitando una sempre più insostenibile esplosione del debito.
Ma al di là di un troppo timido avvio di "spending review" tentato dal governo Monti, non si è fatto sostanzialmente nulla: anche la cosa più semplice di tutte che non è quella, malefica, di contenere l'incremento della spesa tendenziale ma di bloccarla ai valori consuntivati nell'anno precedente per poi intervenire con tagli selettivi.
È accaduto sempre il contrario, come se in una famiglia con l'acqua alla gola, di fronte ad un incremento della spesa del 10% di anno in anno, si decidesse di aumentarla "solo" del 8% invece di bloccarla sui valori dell'anno precedente. Sarebbe così difficile tagliare del 10% gli acquisti della pubblica amministrazione, introdurre i medicinali monodose, i costi standard nella sanità, trasformare i contributi a fondo perduto in crediti di imposta, e magari ridurre la copertura sanitaria per i più abbienti limitandola agli interventi chirurgici e alle cure più costose?
Il fatto che nemmeno le cose più facili si riescano a fare e su cui tutti i partiti concordano ci fa capire che in Italia esiste un potere fortissimo, forse il più forte di tutti, che combatte anche con i mezzi più subdoli per mantenere la crescita della spesa corrente e il conseguente incremento della pressione fiscale.
Questo potere si è rafforzato a dismisura negli ultimi dieci anni profittando dei crescenti spazi di discrezionalità che una classe politica sempre più debole e incompetente gli ha lasciato. I suoi ranghi sono costituiti dagli alti burocrati che fanno il bello e il cattivo tempo nei ministeri romani.
A questi neosacerdoti egizi si deve l'imparreggiabile complessità del sistema normativo italiano, che solo loro sono in grado di decifrare e tutte quelle norme inutili che opprimono le imprese e che fanno dell'Italia uno dei paesi più ostili per gli investimenti esteri. Sono costoro che intrattegono i rapporti con le lobby della conservazione e istruiscono i provvedimenti di riforma che, se non graditi, non resistono al vaglio della Corte Costituzionale, e sono sempre loro che influenzano la nomina dei ministri per poi spartirsi le poltrone nei ministeri prescelti.
Nessun governo è riuscito a contenere lo strapotere di questa cupola e vi è stato chi, come il governo Monti, vi si è completamente assoggettato, pagandone le conseguenze in termini di efficacia dell'azione di governo. La cifra dell'incremento della spesa corrente, che la Corte dei Conti coglie ogni occasione per denunciare, spiega l'incapacità dell'Italia di uscire dalla recessione se non in tempi incompatibili con il futuro produttivo di un'intera generazione e  indica, nella sua enormità, quale sia il vero nemico da combattere per cambiare davvero il Paese.
Considerando l'insegnamento della storia, le tasse crescenti per finanziare gli sperperi dei re e dei loro mandarini sono sempre state il prodromo di benefiche ma quasi sempre violente rivoluzioni. Non c'è da augurarselo ma, andando avanti di questo passo, il rischio che la storia si ripeta non è poi così lontano.
 

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