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Il Cavaliere e la via d’uscita necessaria

Togliersi dai piedi Berlusconi resta un'illusione. Ve lo immaginate ristretto per un anno a villa San Martino di Arcore a riscrivere in silenzio la prefazione al «Principe» di Machiavelli come fece aprendo tanti anni fa l'elegante collana bibliofila curata da Marcello Dell'Utri? Noi no. Ve lo immaginate al lavoro in una comunità di tossicodipendenti? Lui magari ci andrebbe, ma ogni giorno i suoi movimenti sarebbero monitorati da decine di telecamere. Un «Silvio Berlusconi Social Show?». Impossibile. Dunque? Dunque bisogna inventarsi una strada nuova, perché fin dall'inizio della storia di Berlusconi tutto è nuovo, imprevedibile, esaltante o sconcertante, secondo i punti di vista.
La strada nuova è l'«agibilità politica». Che significa? Significa rendere compatibile la sua condizione di condannato in via definitiva con la condizione perdurante di leader politico. Berlusconi perderà - meglio se volontariamente - il seggio di senatore, perché sembrano minoritarie le tesi di chi sostiene la non applicabilità della legge Severino a reati commessi prima della sua entrata in vigore. Certo, il cittadino Berlusconi potrebbe essere arrestato da uno dei tanti pubblici ministeri che indagano ancora sul suo conto. Ma questo lo porterebbe a diventare santo subito, senza nemmeno passare per la beatificazione. Escludendo questa ipotesi, resta ragionevole quella della commutazione della pena da parte del presidente della Repubblica. Alessandro Sallusti, direttore del «Giornale», era stato condannato a 14 mesi. Avrebbe dovuto scontarne perciò due più di Berlusconi. La detenzione è stata in quel caso trasformata in ammenda. Perché in questo non si potrebbe? A rinforzare la necessità di una via d'uscita, è arrivata la provvidenziale e sconcertante intervista al «Mattino» di Antonio Esposito, presidente del collegio che ha confermato la condanna del Cavaliere. Il giudice ha anticipato la motivazione della sentenza (ancora da scrivere) sostenendo che Berlusconi sapeva dell'illecito e offrendo due formidabili armi alla difesa dell'imputato. 1. Se sapeva, cioè se era stato informato, non poteva essere lui l'inventore dell'imbroglio. Chi inventa una cosa, la conosce infatti prima degli altri. 2. Se non era lui l'inventore dell'imbroglio (ragione per cui invece è stato condannato) da chi sarebbe stato informato, visto che agli atti non risulta nulla di tutto questo? Ci fosse un giudizio ulteriore, questi passaggi sarebbero decisivi. (Ci sarà un ricorso alla Corte europea: se trovasse ingiusta la sentenza, cadrebbe la pena detentiva. Questo ha funzionato per condannati a pene lunghe, con il Cavaliere si arriverebbe tardi). Non essendoci, in Italia, ecco l'opportunità di cercare una soluzione. E prima la si trova, meglio è.
Da Ferragosto in poi, infatti, rulleranno i tamburi dei «falchi» del PdL che annunciano di aprire sulle spiagge la campagna elettorale. Per quali elezioni non è dato sapere. Ma intanto loro la aprono. E le «colombe» dovranno esse sì mettere Berlusconi agli arresti domiciliari per impedirgli di parteciparvi. D'altra parte che fareste voi al posto suo, soprattutto dopo aver sentito il giudice Esposito, da ieri sotto processo al Consiglio superiore della magistratura? (Una sanzione durissima salverebbe la faccia della categoria. Ma dubitiamo che arrivi…). Il rischio peggiore è di arrivare alla metà di ottobre senza che nulla si sia mosso (salvo la perdita del seggio senatoriale). A quel punto la procura di Milano potrà anche imporre al condannato gli arresti domiciliari, ma il condannato potrà sempre violarli. E una volta, due e tre, alla fine in prigione dovrebbero mandarcelo. Nel giro di una settimana - siamo pronti a scommettere - il Cavaliere diventerebbe presidente della squadra di calcio delle guardie e allenatore di quella dei detenuti e fonderebbe pure un movimento («Il carcere della Libertà») che avrebbe un certo successo. Ma al di là delle battute, non osiamo immaginare che cosa potrebbe accadere fuori della prigione. E a palazzo Chigi…

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