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Riforma? Meglio chiudere se questo sistema è inutile e costoso

Ancora arresti. Accuse di malaffare e ruberie. Si ha la sensazione di essere entrati in un tunnel buio e infinito. Da settimane e settimane si assiste ad un giro di denunce e sospetti. Nessun angolo è risparmiato da sporcizie e marciume. Intermediazioni illecite su pubblicità e comunicazione, gestione sciagurata della sanità, dirigenti iper pagati e improduttivi, assunzioni irregolari di personale, sregolatezze grandi e piccole nei musei, persone in carcere per mafia stipendiate perché «figuranti» in servizio...
Titolavamo qualche giorno fa su una «Regione degli scandali». Eravamo ottimisti. Si è sempre più allo scandalo della Regione. Una istituzione logora, dove partiti e gruppi inseguono il voto degli elettori nel vuoto di ogni valore. Aspettiamo che inchieste e ispezioni, che speriamo rigorose e rapide, facciano il loro corso. Pubblichiamo a pagina 4 una mappa degli scandali. L'aggiorneremo costantemente per controllare sviluppi e decisioni. Non siamo né ottimisti né pessimisti. Ma vediamo troppo bene muoversi dietro le quinte di un palcoscenico ombroso, gruppi di interesse, comitive di malaffare e cosche mafiose dominare il gioco.
Per quanto le trame siano complesse e oscure non sfuggono però certi dati di fondo. Si è all'effetto di una svolta positiva. C'è un governo che vuol rompere i giochi del passato e non si risparmia nella strategia della denuncia. Si è ad un nuovo corso da sostenere. Noi lo sosteniamo.
Ma come ha scritto ripetutamente in questi giorni il nostro Nino Sunseri, dalla denuncia bisogna passare a riforme forti. Nei meccanismi di spesa e nei sistemi di controllo. Per precedere la magistratura e avviare mutamenti sempre più necessari. Vediamo invece la denuncia appesa ai ganci di una politica priva di spinte. Che si appiattisce del tutto e appiattisce tutto in una sinfonia noiosa di parole e proclami.
Questa sinfonia, infatti, si risolve nel rifiuto delle riforme o peggio, nell'insignificanza delle mezze misure. Di tutto ciò il sistema della Formazione professionale è l'emblema. Riforme, si dice. Se ne parla. Si progettano. Ma vogliamo o no gridare che il re è nudo? Mettiamo in fila tre dati cruciali. Primo, il costo. Per finanziare il sistema, con la costola connessa degli sportelli polifunzionali, noi contribuenti dell'Isola spendiamo mediamente 300 milioni l'anno. Si dovrebbero formare operatori per tanti mestieri. Ma nessun risultato è stato raggiunto. Consideriamo gli ultimi dieci anni. Nell'Isola l'occupazione si è costantemente ridotta (abbiamo perso 100 mila posti solo negli ultimi cinque anni). Abbiamo sprecato 3 miliardi. Gli unici occupati creati sono i 10 mila tra impiegati e formatori. Facciamo i conti. Il costo medio di un operaio metalmeccanico in una impresa privata va dai 30 ai 35 mila euro l'anno. Se dunque questi 300 milioni fossero stati affidati a gestioni private, si sarebbero potuti realizzare 100 mila nuovi occupati, 10 volte di più. Questo è l'ordine dei valori.
C’è poi l'equilibrio assurdo tra corsi di formazione e domanda del mercato del lavoro. Da anni qualificati imprenditori, artigiani e commercianti denunciano l'inadeguatezza tra ciò che serve alle imprese dell'Isola e ciò che il sistema di formazione produce. È ricorrente la battuta: «Si formano parrucchieri ma servono tornitori». Infine oggi l'assurdità del sistema è nella sproporzione tra offerta e domanda. Frequentano i corsi, infatti, da 30 a 40 mila persone ogni anno. Considerando per ipotesi (ma l'ipotesi è di terzo tipo) che il sistema riuscisse a formare una massa così elevata e qualificata di operai, artigiani e operatori di vario genere, non c'è un sistema economico in grado di assorbirli. Le nostre aziende sono costrette a licenziare ogni giorno. Come possono assumere le decine di migliaia di persone formate dal sistema?
Stando così le cose, è necessaria una riforma radicale e visibile. Se questo sistema è inutile e costoso bisogna chiuderlo. Proprio così, chiuderlo. E poi pensare ad altro. Utilizzando virtuosamente meccanismi e sistemi che funzionano in Italia e all'estero, a cominciare dall'apprendistato dentro le imprese. Conosciamo l'obiezione: che fare dei diecimila lavoratori in carica? Travolgerli con una operazione di macelleria sociale? La risposta è semplice: passiamo dalla finzione del lavoro all'assistenza. Viene mantenuto loro un reddito, appena ridotto come avviene con l'attuale sistema di cassa integrazione. E si lascia questo personale disponibile per lavori comparabili a quelli che svolgevano, impegnandolo, quando possibile, in spazi pubblici e privati. Si raggiungerebbero così due risultati reali. Uno economico. Perché si risparmierebbe su locali, utenze elettriche e telefoniche, costo del materiale da ufficio, affitti e via dicendo. L'altro politico e sociale. Non si diffonderebbe l'illusione facile che il lavoro si trova con attestati inutili. Si indurrebbero tantissimi giovani a misurarsi con i mestieri che servono. Vorremmo tanto che questo modo di soluzione fosse praticato in generale, come principio di etica pubblica. Quando una struttura finanziata dai contribuenti manca i risultati programmati, rivelandosi inutile, non si distruggano risorse tenendola in vita ma la si chiuda.
Sarebbe proprio questa riforma la migliore offerta ad un'opinione pubblica che vuole svolte radicali, trasparenza, moralità ed eliminazione degli sprechi. E che, non trovando tutto questo, volta le spalle alle urne democratiche e alla politica. Perché non si procede? Che cosa si aspetta? Si può dire per la formazione professionale, quel che un tempo si diceva per le dighe: «Hanno dato più da mangiare che da bere» con riferimento a connesse «manciuglie» di ogni tipo, per usare un termine caro al presidente Rosario Crocetta. Analogamente per la formazione professionale possiamo dire che siamo ad un sistema che in molti punti fa acqua. Ma che ha dato pane e carne a pochi beneficiari. Solo che, continuando così, saremo tutti alla frutta. Rendendo vuoti e goffi gli istituti della nostra storia. A cominciare da quell'«autonomia» della nostra Isola cui un numero sempre maggiore di nostri lettori preferisce, non a torto, rinunciare.
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