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La Sicilia tra gli ineffabili

L’incredibile è accaduto. La Regione che paga lo stipendio a una cinquantina di lavoratori precari finiti in prigione anche per mafia. La commedia dell’assurdo svelata dallo stesso presidente Crocetta.
Uno scandalo. Ma non basta. È evidente che a questo punto non possiamo parlare di un’amministrazione disattenta o particolarmente distratta. È chiaro che c’è qualcosa di più e anche di ben peggiore. Soprattutto considerando, come ha riconosciuto lo stesso presidente della Regione nel corso della conferenza stampa, che la scoperta è avvenuta grazie a un intervento «straordinario». Stando così le cose, la truffa rischia di essere all’ordine del giorno perché risulta di ogni evidenza che negli uffici regionali non esistono forme di controllo «ordinario».
La denuncia di Crocetta mette in luce due aspetti sui quali tante volte queste colonne hanno richiamato l’attenzione. Il primo: senza una bonifica radicale l’amministrazione resta esposta a qualunque tipo di truffa e di raggiro da parte di dipendenti infedeli. In secondo luogo è necessario che i sistemi di controllo divengano più stringenti. A esercitarli, però, deve essere la burocrazia interna, come accade con l’auditing di qualunque impresa privata. E la classe politica li deve reclamare. Deve smettere di fare da sponda a comportamenti opachi.
Per arrivare a questo obiettivo è necessario adottare delle procedure di sorveglianza sulla macchina burocratica che, evidentemente, non esistono ancora o sono molto lacunose. Ma soprattutto occorre trasparenza. La Regione deve diventare una casa di vetro nella quale tutti possono guardare. Solo la vigilanza sociale può inoltre imporre comportamenti corretti all’interno dei palazzi. Fra l’altro, la tecnologia oggi semplifica il lavoro per valutare la correttezza delle procedure. Tutti i cittadini devono avere la possibilità di controllare la gestione amministrativa. E la classe politica si deve impegnare su questi obiettivi. Solo così sarà possibile evitare che tutta la Regione si trasformi in un gigantesco Ciapi. O peggio scoprire che anche in galera i precari incassano lo stipendio.
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