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Adesso si passi alle proposte serie

Più si avvicinano le elezioni, più la situazione diventa confusa. Lo scandalo del Monte dei Paschi rischia di coinvolgere personalità e istituzioni che per ora non compaiono in alcun atto giudiziario, ma i cui nomi si sussurrano - peraltro senza alcun solido riscontro - nelle redazioni dei giornali e nei salotti dove s'incontrano imprenditori e politici. Non ci fosse il voto alle porte, forse qualcuno sarebbe finito già in prigione. La massima prudenza in giorni come questi è invece doverosa, ma è difficile che gli ami degli investigatori restino in acqua ancora per tre settimane senza tirar su qualche pesce o pesciolino. Ad aumentare la tensione arrivano le inchieste di Roma e di Trani e il sequestro di una grossa somma ordinato dalla magistratura pugliese non aiuta i nuovi amministratori del Monte ad evitare il baratro. Tutto questo non giova al Pd (storico partito di riferimento del Monte) che infatti scende nei sondaggi pur mantenendo alla Camera una soglia di sicurezza.
Mentre gli esperti di calcio giurano che l'acquisto di Balotelli può giovare molto (incredibile!) al Cavaliere. Quando gli scarti sono ridotti (soprattutto al Senato), basta uno starnuto a provocare un ciclone, ma gli italiani alla fine staranno bene attenti a guardare anche alla gestione del Paese che potranno aspettarsi dai candidati. E i tre principali stanno mettendo in campo strategie ovviamente diverse. Bersani cerca di tenere a distanza Berlusconi anche in televisione. Il confronto a sei è tecnicamente molto difficile, visto che il sesto (Oscar Giannino) può rivendicare con difficoltà titoli diversi dai radicali o dall'ipercomunista Ferrando. D'altra parte chi è in vantaggio non ha interesse a dare spago agli inseguitori.
Non a caso Berlusconi rifiutò i confronti del 2001 con Rutelli e del 2008 con Veltroni, sicuro della vittoria in tasca. Adesso il Cavaliere lo vorrebbe solo con Bersani, che naturalmente non lo prende in considerazione. Ieri sera il leader del Pd si è presentato a Firenze con Matteo Renzi che gli ha fatto la cortesia di attaccare Monti, ma limita il suo appoggio al minimo sindacale. Per esempio ha detto che non parteciperà ai talk show televisivi limitandosi a un paio di interviste. Bersani ha l'organizzazione più forte, intelligente e strutturata e ha presentato un programma in linea con le principali socialdemocrazie europee. Ma questo, oltre che il suo punto di forza, può rivelarsi al tempo stesso un punto di debolezza. Perché lo stesso Monti, saltando novant'anni di storia, di evoluzioni e di nomi, ha fatto risalire ieri la nascita del partito di Bersani a quella del Pci, nel 1921. E continua a martellarlo su Vendola, che peraltro perde punti in favore di Ingroia e di Grillo.
Il presidente del Consiglio gioca su due tavoli: da un lato gira in Europa per accreditarsi come il candidato più credibile. Dall'altro si prodiga in promesse di riduzioni fiscali che ancora due mesi fa non facevano parte della sua agenda. Berlusconi ha il compito più difficile e più facile. Più difficile perché gli pesano addosso otto anni e mezzo di governo negli ultimi dodici. Più facile perché aver a suo tempo abolito l'Ici sulla prima casa rende più credibile la promessa di abolire oggi l'Imu e qualcosa d'altro. Il obiettivo, più che di vincere, è di costringere Bersani a scendere a patti dopo il voto, soffiando questo ruolo a Monti. Ciascuno dei tre ha in serbo i mortaretti finali. Speriamo che sia roba seria, perché l'Italia sta soffrendo come mai era accaduto.

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