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Bersani colga la voglia di nuovo

Le lacrime di Pierluigi Bersani ieri sera a «Porta a porta» avranno forse un impatto maggiore di quelle scappate a Elsa Fornero esattamente un anno fa quando dovette spiegare la riforma delle pensioni. Bersani si è commosso a lungo rivedendo dopo 16 anni un servizio del 1996 quando - in occasione della sua nomina a ministro dell'Industria nel primo governo Prodi - i suoi genitori e il suo parroco, ormai tutti scomparsi, raccontavano a «Porta a porta» i crucci di quando il loro figliolo, chierichetto e rampollo di una famiglia rigorosamente democristiana, diventò comunista. Ma la tenerezza del segretario del Pd è durata giusto i pochi minuti del servizio. Appena abbiamo accennato a Matteo Renzi, il suo cuore si è indurito. «L’altra sera è stato flessibile e garbato - ha detto - ieri mattina un po' meno». Bersani e gli altri candidati alle primarie (sconfitti, ma risolutamente antirenziani) hanno preso male la pagina a pagamento comparsa ieri su alcuni quotidiani con l'invito a iscriversi in tempo per votare al ballottaggio di domenica. «Le regole decise insieme da tutti vanno rispettate», sostiene Bersani. È bastata questa affermazione e la convinzione emersa nell'arco della trasmissione che il numero dei votanti domenica non subirà variazioni significative a far gridare al comitato Renzi: «L’altra sera ci siamo addormentati in America. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ci siamo svegliati in Bulgaria». C'è perciò da giurare che gli ultimi tre giorni di campagna elettorale (compresa la stessa domenica) non saranno sereni, tra la pressione di chi vorrà votare e la resistenza di chi vorrà impedirlo brandendo il regolamento. La frattura tra i due mondi è nettissima e sia il confronto di mercoledì sera su Raiuno, sia i due interventi di Renzi e Bersani a «Porta a porta» martedì e ieri sera lo hanno confermato in modo netto. Bersani probabilmente è più innovatore di quanto appaia e Renzi più realista di quanto sembri in certi momenti onirici. Ma è certo che mai nella storia della sinistra italiana si era assistito a un confronto tra persone così diverse.
I memorabili contrasti nel Pci tra la «destra» di Giorgio Amendola e la «sinistra» di Pietro Ingrao fanno sorridere rispetto a quanto abbiamo visto in questi giorni. E le stesse divergenze tra i cattolici della Margherita (partito di Renzi) e l'ala postcomunista del Pd (alla quale appartiene Bersani) non avevano registrato niente di simile. Renzi è convinto con qualche ragione di non aver bisogno di alleati: se fosse lui il candidato premier sommerebbe a quel terzo di centrosinistra che l'ha votato finora larghi strati di elettori moderati realizzando in modo clamoroso la «vocazione maggioritaria» del Pd idealizzata nel 2008 da Walter Veltroni.
Ma sarebbe un partito del tutto diverso da quello d'oggi: un partito nel quale non si riconosce quasi nessuno del gruppo dirigente e dell'apparato del Pd.
Ieri sera a «Porta a porta» Bersani non ha fatto alcuna apertura di credito a Renzi: «Se perde, resterà a fare il sindaco di Firenze». Cosa peraltro annunciata da tempo dal suo competitore. Eppure il segretario del Pd è uomo troppo scaltro e intelligente per non cogliere il desiderio di novità che sale da una parte importante della società. Se domenica vincerà le primarie, da lunedì aprirà la campagna elettorale per le politiche di marzo cercando di mescolare (come ha già fatto ieri sera a «Porta a porta») elementi di stabilità - o se volete di conservazione - con qualche passo in direzione del nuovo.

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