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La crescita coi tagli alla spesa

L’Italia è il Paese europeo dove le imprese pagano più tasse: il 68,3% contro una media scesa addirittura dal 43,4 al 42,6%. A sostenerlo uno studio della Banca Mondiale. Ci collochiamo anche a livelli record nel mondo dove la media si aggira intorno al 44%. Volendo un po’ giocare con i numeri l’analisi segnala che gli imprenditori italiani lavorano per il fisco 269 giorni l’anno. Gli altri 184.
I numeri impongono delle riflessioni. La prima è la più semplice: con un sistema imprenditoriale così tartassato è assolutamente fantasioso parlare di ripresa economica. Ma c’è il problema del debito arrivato a quota duemila miliardi. Vuol dire che ogni anno lo Stato paga circa 80 miliardi di interessi. Se l’Italia non spiana questa montagna dovremo continuare a vivacchiare come stiamo facendo ormai da quindici anni. L’economia ha perso spinta perché lo Stato non è più in grado di dare impulsi. Anzi è totalmente concentrato sul vincolo finanziario.
Diciamo subito che l’euro ha solo accelerato la resa dei conti. Sarebbe comunque arrivata come successo vent’anni fa in Argentina e come, probabilmente, accadrà al Giappone che ha un rapporto deficit/Pil del 230% e un disavanzo del 10%. Non a caso quella di Tokyo, così come la nostra, è fra le economie occidentali, la più pigra. Con una differenza sostanziale: i giapponesi, come spesso nella loro storia, si stanno avviando verso il probabile disastro senza nemmeno provare a correggere la rotta. L’Italia, con l’intervento del governo Monti, ha dato una sterzata per evitare la catastrofe.
La correzione dei conti pubblici si può fare in due modi: aumentando le entrate o tagliando le spese. La prima strada è preclusa dai pochi numeri illustrati dalla Banca Mondiale. Un livello troppo elevato di tassazione su lavoro e impresa inevitabilmente favorisce la rendita.
Mediobanca lo ha spiegato in uno studio pubblicato in estate: il capitale impegnato in un’impresa ha dato, lo scorso anno, un risultato negativo dell’1,4%. Vuol dire che ha distrutto ricchezza. Gli stessi soldi, messi in semplici Btp, avrebbero reso almeno il 3%. Insomma per l’imprenditore meglio chiudere o vendere l’azienda e andare in giro per il mondo con il ricavato delle cedole. Solo che le imprese che chiudono creano povertà: meno lavoro, meno ricchezza e, alla fine, meno entrate per lo Stato.
Ecco perché non resta che la seconda strada: il taglio delle spese. Prima di tutto quelle improduttive. Vuol dire meno sprechi (nella sanità, negli enti locali, nelle pensioni) e riduzione dell’ammontare complessivo delle retribuzioni (per esempio trovando il modo di mandare a casa i fannulloni della pubblica amministrazione). Le risorse ricavate dovrebbero servire da un lato a tagliare il debito e dall’altro a finanziare gli investimenti (strade, aeroporti, istruzione d’eccellenza). In questa maniera il circolo virtuoso torna a funzionare: più ricchezza, più occupazione, più tasse per lo Stato. Il governo Monti finora ha avuto la possibilità di giocare il primo tempo della partita maneggiando l’ascia (e non sempre con il necessario vigore viste le resistenze dei partiti). Dobbiamo augurarci che ora completi il lavoro operando sugli investimenti e sulla crescita. In questa o nella prossima legislatura, se toccherà ancora a lui guidare il governo. [email protected]

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