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Regioni italiane tra orrori, privilegi e degrado morale

Lo scandalo alla Regione Lazio, conclusosi con le dimissioni della presidente Polverini e di tutto il consiglio, non ci sorprende più di tanto. Ne avevamo già parlato in passato e avevamo già denunciato altri scandali, anche se di dimensioni minori, che riguardano la Lombardia, la Calabria, la Puglia, l’Emilia Romagna, la Campania e la Sicilia. Quando «scoppia» un caso è perché interviene la magistratura (come ieri col fascicolo aperto dalla Procura di Palermo) con qualche inchiesta o per qualche faida interna (come è avvenuto alla Regione Lazio, all’interno del Pdl). Ma nessuna denuncia pubblica è stata fatta dall’opposizione che, invece, è stata quasi ovunque connivente con la maggioranza di qualsiasi colore sia. In altre parole, quando si è trattato di «succhiare» risorse pubbliche e dividerle allegramente fra tutti i partiti, va tutto bene; quando però qualcosa va storto allora volano le accuse di «indegnità», come quelle della Polverini al Consiglio del Lazio. Sarebbe facile risponderle dove si trovasse la signora quando veniva divisa la «torta» di almeno 14 milioni di euro l’anno tra i 17 gruppi parlamentari (di cui 8 costituiti da un solo consigliere)? E dov’era quando è stato esteso il privilegio dei vitalizi anche agli assessori non consiglieri, con un aggravio di costi pubblici di diversi milioni l’anno? Ma l’elenco sarebbe lungo, sicuramente molto più esteso di quello dei privilegi della giunta di centrosinistra di Marrazzo.
E gli sprechi sono diffusi, chi più chi meno, in tutte le 20 regioni italiane. Facciamo solo un esempio: gli stipendi dei consiglieri, inclusi i rimborsi e le varie indennità, pesano sul bilancio nel Lazio per 24 milioni di euro, ma la Sicilia ha speso nel 2011 poco meno (22,3 milioni), seguita dalla Sardegna (20,3). La Sicilia, però, detiene il primo posto assoluto per il pagamento dei vitalizi agli ex deputati (21 milioni all’anno) e per altre voci, a cominciare dal numero dei dipendenti di «Mamma Regione» (oltre 20 mila). Nella graduatoria dei costi complessivi per il funzionamento delle regioni (830 milioni di euro l’anno) svetta la Sicilia, con 12,65 milioni spesi nel 2011, che detiene anche il primato dell’assemblea più affollata (90 membri). Per la verità si era cercato di ridurla a 70 parlamentari, ma l’interruzione della legislatura ha lasciato tutto inalterato.
Al di là dei dati, che peraltro ormai tutti conosciamo, osserviamo che negli ultimi tempi l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata sui costi delle istituzioni centrali (il Parlamento e il governo, in particolare), ma è stata molto scarsa sulle regioni, dove ormai sui politici prevalgono nettamente i faccendieri, che lavorano per accaparrarsi sempre maggiori risorse pubbliche. Infatti, con stipendi elevatissimi, che spesso superano i 15 mila euro, la grande maggioranza dei consiglieri rivela - da indagini recenti - un elevato tasso di assenteismo. Quasi sempre gli eletti assicurano la presenza solo quando si deve votare per leggi importanti. Ora però le polemiche roventi, seguite al «caso Lazio», hanno investito l’intero sistema delle Regioni, sino al punto di chiedersi se non si debba mettere in discussione lo stesso ordinamento istituzionale. In altre parole,dopo le province (che si stanno «riordinando», nella prospettiva di una loro totale eliminazione) qualche costituzionalista fa riflettere sulla necessità di mettere mano a una riforma radicale delle regioni? E qui, ovviamente, le proposte sono diverse: dall’azzeramento (che non ci sembra realistico) a un accorpamento di alcune e all’avvio di una riforma istituzionale, che ne razionalizzi le funzioni e ne riduca drasticamente la spesa.
Quello che sicuramente occorrerebbe fare subito è di ripristinare i controlli sulla spesa pubblica, che non può più essere lasciata all’autonomia delle istituzioni territoriali. E non si può neanche affidarla a società private, come si sta cercando di fare in Parlamento. Forse è necessario concedere più poteri alla Corte dei conti per combattere gli sprechi, i privilegi e il fiume di «uscite» (oltre il 50% solo per la sanità), anche a causa della moltiplicazione dei centri di spesa, seguite all’abolizione dell’articolo quinto della Costituzione. In nome di un federalismo distorto si sono compiuti veri e propri orrori, nel campo dei privilegi e del degrado morale. Forse ora bisogna fermare tutto questo, per imboccare la strada del federalismo veramente etico e solidale.

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