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Lavoro, sui precari il coraggio della verità

A fine anno la Gesip cesserà di esistere. Il sindaco sta conducendo una delicata partita sul futuro della società: garantire i posti di lavoro, evitare qualsiasi aumento delle tasse, mantenere l'ordine pubblico in città. Un lavoro di altissimo equilibrismo il cui esito non è scontato. Le dimissioni del vice sindaco Ugo Marchetti segnalano la difficoltà

A fine anno la Gesip cesserà di esistere. Lo ha deciso ieri pomeriggio la giunta comunale prendendo atto dell'ordine giunto da Roma. Palazzo Chigi l'aveva posta come condizione per erogare la tranche di finanziamento di cinque milioni. Orlando non ha potuto che prendere atto aprendo, suo malgrado, una porta sull'abisso. I soldi bastano fino a settembre: chi pagherà gli stipendi degli ultimi tre mesi? E, soprattutto: che fine faranno i 1.800 precari della Gesip a partire dall'1 gennaio? Non è pensabile mandarli a casa. Impossibile stabilizzarli viste le condizioni della finanza comunale. Improponibile la creazione di una Gesip 2 che dall'attuale erediterebbe non solo il personale ma anche tutti i problemi. E allora? Il sindaco sta conducendo una delicata partita sul futuro della società: garantire i posti di lavoro, evitare qualsiasi aumento delle tasse, mantenere l'ordine pubblico in città. Un lavoro di altissimo equilibrismo il cui esito non è scontato. Le dimissioni del vice sindaco Ugo Marchetti segnalano la difficoltà.
Tanto più che i problemi della Gesip erano noti già prima delle elezioni. Tutti i candidati sapevano che cosa stava arrivando. Nessuno, però, nel suo manifesto elettorale se n'è occupato. Gli aspiranti sindaci si sono fortemente impegnati nell'attività di sgambettamento reciproco (soprattutto se appartenenti al medesimo fronte politico). Molto meno dei contenuti. Nessuno si è sbilanciato a proporre una soluzione consapevole che la ricetta sarebbe stata amara. Nessuno, fortunatamente, ha avuto la spudoratezza di garantire la stabilizzazione. Tutti hanno promesso una soluzione senza, però, indicarla. Anche perché, con tutta probabilità non la conoscevano nemmeno loro. Nemmeno Orlando pur avendo utilizzato come spot proprio la lunga militanza come primo cittadino a confronto dell'inesperienza dei concorrenti. La realtà ha presentato il conto e ora il sindaco dovrà utilizzare tutta la sua capacità e il suo carisma per trovare una soluzione.
La Gesip, ora, rischia di essere solo il prologo di una partita ancora più ampia e complessa. Si tratta del futuro delle migliaia (quanti ancora non è dato saperlo con certezza) di precari occupati negli enti locali e nella sanità. Un bacino elettorale assai appetitoso: considerando mogli, figli e parenti di diverso grado almeno centomila voti. Una platea che, come la Gesip, attende risposte immediate. Anche qui i contratti scadono il 31 dicembre. Appena due mesi dopo il voto per le regionali. Sarà la prima emergenza che la nuova Ars dovrà affrontare. Non è nemmeno da escludere che le decisioni debbano essere prese sotto l'incalzare di una piazza turbolenta visto che la partita Gesip si gioca in contemporanea. Una prospettiva d'angoscia. Un esercito di precari, senza più nulla da perdere, a caccia disperata del futuro deve impegnare tutti: forze politiche, forse sociali, istituzioni.
Da qui la necessità che i partiti in corsa per il rinnovo dell'Ars prendano, fin da ora, impegni di verità. Servono parole chiare oggi perché, come insegna la Gesip, domani sarà sicuramente troppo tardi. Anche i contrattisti, nel loro interesse, dovrebbero prestare fede solo a promesse concrete. Inseguire sogni prepara risvegli aspri.
Il punto di partenza è drammatico: i soldi sono finiti e quindi ogni soluzione andrà cercata in un ambito di povertà. Inutile inseguire, o promettere, soluzioni creative. Prima fra tutte la rottura del patto di stabilità. Deve essere ben chiaro a tutti che una strada del genere non è percorribile e chi la propone mente in maniera spudorata. Intanto perché infrangere i limiti contabili è operazione difficile e costosa. In secondo luogo perché sarebbe politicamente ingestibile: vallo a spiegare a Berlino, a Bruxelles o a Helsinki che l'Italia non rispetta i vincoli del bilancio pubblico per pagare i precari siciliani. Ecco perché la classe politica deve fare un bagno di realismo proponendo soluzioni concrete. Che non possono essere, all'estremo opposto, quella di mandare tutti a casa facendo leva sull'elevato tasso di impopolarità che accompagna il precariato negli enti locali, la Gesip e i forestali e via elencando. Tutti accomunati dalla definizione di fannulloni e parassiti.
Le parole di verità devono contemperare spinte divergenti: evitare la macelleria sociale perché nessuna persona di buon senso può pensare di lasciare a casa cinquantenni che da quindici sono precari. D'altra parte non possono essere persi di vista i temi della produttività e dell'efficienza. Lo stipendio non è un diritto come in tanti credono. È il corrispettivo di una prestazione lavorativa. Altrimenti bisogna parlare di assistenza sociale. Non è più tempo di bussare ciecamente alle casse del Tesoro. Senza un piano credibile di ristrutturazione le porte non si apriranno a sufficienza come Gesip insegna. Ecco perché i candidati alla presidenza della Regione dovrebbero avere il coraggio di rispondere a quattro domande.
1) Quanti sono, dove sono e che cosa fanno questi lavoratori? Non esistono certezze sul numero e non risulta che esista una pianta organica con l'assegnazione dei compiti. Quindi non funziona il principio di responsabilità. Un risultato inevitabile visti i criteri di assunzione. Al momento dell'ingaggio nessuno si è posto il problema delle funzioni. Prima il posto. Poi, casomai, il lavoro. Qualunque soluzione dovrà passare da una riorganizzazione puntuale. Altrimenti la Sicilia si farà ridere dietro dall'Italia intera come accaduto con i camminatori.
2) Produttività: qualcuno si è mai posto il problema di verificare le prestazioni dei precari? Probabilmente mai. Altrimenti non ci sarebbero tanti casi di fannullonismo, di cartellini timbrati per finta oppure di operai a servizio personale del boss politico di turno. Per non parlare dell'abusivismo. Per esempio quei contrattisti che prendono lo stipendio ma, in realtà, hanno un'attività in proprio (un bar, una tabaccheria, un qualunque esercizio commerciale) accuratamente intestato alla moglie o a qualche altro familiare.
3) Tagli: siamo proprio certi che tutti i ventisettemila siano utili? Certamente in questi anni si sono creati vuoti d'organico nella sanità e negli enti locali. Ma davvero tutte le caselle possono essere coperte dai contrattisti? Un piano industriale appare indispensabile. Perchè le aziende private possono affrontare la crisi ricorrendo a misure come gli ammortizzatori sociali o la cassa integrazione e il pubblico deve mantenere a tutti i costi i livelli? Certo, nessuno dovrà essere abbandonato. Ma non tutti servono. Per gli esuberi va studiato un progetto di sostentamento temporaneo del reddito come accade per tutti i lavoratori. Poi ognuno dovrà pensare a se stesso.
4) La stabilizzazione dei precari deve essere anche l'occasione per una revisione complessiva della macchina amministrativa locale. Riempire i vuoti ma anche tagliare. Non solo le eccedenze di personale ma anche i costi, a cominciare dai premi, dai superminimi e dalle indennità varie che ingrassano senza merito gli stipendi.
Infine una considerazione. In primavera il commissario dello Stato ha bocciato il piano di stabilizzazione varato dalla giunta Lombardo sostenendo che il posto di lavoro pubblico si ottiene solo per concorso. Un vincolo che non potrà essere aggirato. Eventualmente adattato alle circostanze. Ma la dignità del lavoro impone una selezione Troppi, per troppo tempo, in Sicilia si sono convinti che tutti i pasti sono gratis.

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