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Studenti siciliani maglia nera in Italia

Qualche giorno fa, durante il meeting a Rimini di Comunione e Liberazione, il Presidente Monti ha citato (per la seconda volta) una frase celebre di De Gasperi: gli uomini politici guardano al consenso, gli statisti alle generazioni future. Se qualcuno si interrogasse sui possibili collegamenti tra l'azione del Governo in carica e l'insegnamento degasperiano, troverebbe un puntuale riscontro nei provvedimenti varati ieri dal Consiglio dei Ministri per la scuola italiana; misure destinate ad incidere sul sistema scolastico nazionale. La scuola italiana ha sempre sofferto di alcuni mali endemici: ha visto dilatarsi oltre ogni misura il numero dei dipendenti ed ha opposto un secco rifiuto ad ogni forma di selezione delle carriere e di promozione del merito individuale; la progressione di carriera resta infatti affidata ai soli scatti biennali ed ai rinnovi contrattuali. In sostanza abbiamo avuto troppi insegnanti, non li abbiamo valorizzati e li abbiamo regolarmente sottopagati.
E vediamole dunque queste misure. Il Governo già in precedenza, ha quantificato in circa 34 mila unità i vuoti di organico nella scuola italiana, garantendo però, per le note rigidità del bilancio, un primo blocco di 21.112 nuove assunzioni. La novità sta nel fatto che, di questi, 9.220 posti saranno assegnati ai precari storici, mentre 11.892 saranno messi a concorso tra tutti i laureati e su base regionale. La scuola italiana non registrava un concorso aperto a tutti dal 1999 e già questo la dice lunga in un Paese in regolare e costante crescita demografica che ha visto dilatare tanto il corpo insegnante, da doversi fermare per 13 anni! Quella di aprire a tutti i laureati italiani, è stata una scelta ardita, e immaginiamo sofferta, che non sarà vista bene tra i precari storici, ma che ha il senso di valorizzare le precedenti esperienze, senza penalizzare la linfa dei nuovi laureati, nella ricerca di un equilibrio tra le generazioni e secondo un principio di equità. A ben vedere il Governo in carica si è già mosso in questa direzione con la recente riforma delle pensioni: dolorosa per i più anziani ed a vantaggio delle giovani leve; nella logica appunto di realizzare un patto più equo tra le generazioni.
E' questo un tema che anche la Sicilia dovrà presto affrontare, per avviare a soluzione l'analogo, drammatico problema dei circa 100 mila precari creati dalla Regione e dai Comuni nelle più svariate aree di attività e che rappresentano, tra l'altro, una invalicabile barriera all'ingresso per l'esercito di nuove leve di siciliani e di siciliane. Ma torniamo alla scuola italiana ed al varo di un nuovo Regolamento per la valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti. Il sistema si basa su tre pilastri: l'Invalsi, l'Istituto che definisce i parametri della valutazione cui le scuole dovranno attenersi; l'Indire, che si occuperà della formazione dei docenti; il corpo degli Ispettori statali chiamati a dare i "voti" (che saranno pubblici) alle singole scuole. Un modo, moderno, civile e trasparente, di valorizzare le migliori professionalità interne e per consentire alle famiglie una scelta meditata delle migliori soluzioni scolastiche per i figli.
Spesso, quando si considerano questi temi, non si valuta a fondo che i più colpiti da un sistema arretrato sono i meno abbienti, essendo chiaro che le famiglie abbienti dispongono comunque di strumenti, più efficaci, di conoscenza e di scelta. Nelle economie globalizzate, dove la battaglia sul costo del lavoro è persa in partenza (un'ora di un operaio tedesco equivale in termini di paga alla settimana lavorativa di un cinese), la competizione - ormai è noto e condiviso - si gioca tutta sui saperi. Da qui la centralità che i sistemi dell'istruzione e della formazione rivestono nei Paesi moderni.
La Banca d'Italia, sede di Palermo, ha dedicato un intero paragrafo del report sull'economia siciliana, nel giugno scorso, proprio al tema dell'apprendimento. Per arrivare ad una preoccupante conclusione: la Sicilia presenta una bassa scolarizzazione, anche nel confronto con il Mezzogiorno;e come non bastasse, i livelli di apprendimento degli studenti siciliani, misurati dalle indagini nazionali ed internazionali, sono i peggiori. Abbiamo infatti un numero inferiore di laureati (il 12% nella fascia 25-64 anni, rispetto al 15% nazionale) ed il numero più basso d'Italia di diplomati. Citando poi la principale analisi nazionale (Invalsi) e la più nota ricerca internazionale (OCSE-PISA), la Banca d'Italia rileva che l'apprendimento degli studenti siciliani (in italiano e matematica per Invalsi ed in lettura e matematica per PISA) è, in ogni grado scolastico, peggiore di quello del Mezzogiorno, già inferiore alla media nazionale. Come era facile immaginare, il divario si amplia tra gli studenti dei tecnici e dei professionali a vantaggio dei licei, cui di prassi, almeno in Sicilia, affluiscono le "elite". E' vero che gli studenti siciliani subiscono la penalizzazione delle famiglie di appartenenza a causa del basso livello di scolarizzazione della popolazione adulta, ma è pur vero che, rileva la Banca d'Italia, anche correggendo questo fattore distorsivo, i nostri studenti restano ad un livello inferiore, sia al dato nazionale che a quello meridionale.
In Sicilia la Regione spende per la formazione quasi 300 milioni di euro all'anno. Gli effetti e gli esiti sono tristemente noti. Ma se la formazione si propone di colmare in prima battuta il gap di conoscenze tra le nozioni di base fornite dalla scuola e la domanda di competenze specifiche richieste dal mercato del lavoro, forse nella nostra Regione questi due mondi si potrebbero incrociare. Spostare una parte delle risorse finanziarie della formazione verso gli istituti tecnici e professionali, potrebbe dare un vantaggio concreto ai nostri giovani, avvicinare il mondo della scuola e quello del lavoro e gratificare finanziariamente i nostri docenti di ruolo che almeno un percorso selettivo lo hanno comunque affrontato. Sarebbe una bella scelta «autonomistica». [email protected]

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