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Beni confiscati, patrimonio da non sprecare

Se ne è parlato anche nella recente commemorazione della morte di Falcone e Borsellino, ma ancora una decisione non si vede. Il ministro dell'Interno Cancellieri ha le idee chiare e vorrebbe poter sciogliere un nodo politico che al momento appare intricato. Parliamo dei beni confiscati alla mafia, anzi al tutte le organizzazioni criminali, un patrimonio di oltre 20 miliardi di euro, di cui si parla poco perché gli interessi economici e politici sono molto elevati. Ogni anno i sequestri aumentano, il tesoretto si incrementa, ma lo Stato non riesce a capitalizzare.
Nel 2010 è stata costituita un'Agenzia (la Anbsc) per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Il direttore è un prefetto (Giuseppe Caruso), ha sei sedi, con tanto di staff e organici di impiegati e funzionari. I beni sequestrati sono (dati aprile 2012) 12.083: 10531 immobili e 1552 aziende industriali, di servizi, agricole (il 43,6% si trova in Sicilia). Il problema vero è che queste aziende non riescono a stare sul mercato: 9 su 10 falliscono. E lo Stato ripiana i deficit .
Le aziende amministrate dai mafiosi agivano all'interno di un mercato protetto, garantito dalla violenza criminale. Con la proprietà pubblica le aziende devono stare liberamente sul mercato e non reggono la concorrenza, anche perché sono boicottate dagli «amici degli amici».
Facciamo un esempio: la Riela Group era un'azienda di distribuzione e trasporto merci, confiscata nel 1999 ai Santapaola. Aveva un fatturato di 30 milioni di euro e 250 dipendenti. Oggi è stata messa in liquidazione, dopo che era scesa a 8 milioni di fatturato e a 22 dipendenti. Un discorso analogo vale per centinaia di altre imprese, mentre i beni immobili rendono pochissimi: vengono concessi con affitti simbolici a enti e organizzazioni di assistenza, legati a partiti, sindacati e organizzazioni religiose. Una buona parte non sono agibili perché gli ex proprietari, prima di abbandonarli, li hanno danneggiati, un'altra parte è ipotecata e la rimanente parte è abusivamente occupata da privati e gruppi politici.
Per le aziende c'è anche qualcuno che ha proposto di trasformare l'Agenzia in una piccola Iri, ma - giustamente - il ministro Cancellieri ha respinto l'idea di un nuovo «carrozzone», anche se le pressioni di lobby politiche, religiose e sindacali continuano a essere molto forti. Il disegno di legge che dovrebbe essere varato dal governo per modificare la normativa (che risale alla legge Rognoni-La Torre) dovrebbe superare un tabù: quello della vendita dei beni confiscati alle mafie. Fin'ora questa decisione è stata sempre contestata da settori politici e sindacali, con la motivazione pretestuosa, che i beni sarebbero stati riacquistati dalla mafia, dalla camorra,dalla 'ndrangheta e dalla sacra corona unita.
Il ministro Cancellieri ha giustamente osservato: «Il rischio che tornino nelle mani dei clan esiste, ma, pazienza, vorrà dire che saranno nuovamente sequestrate e confiscati e che lo Stato ci guadagnerà due volte». Siamo assolutamente d'accordo, anche perché la priorità, soprattutto in tempi di crisi, è di recuperare la gran parte dei 20 miliardi di euro, per destinarli ad attività produttive, favorendo l'occupazione giovanile. Il resto è solo demagogia.
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