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La "Libertà" come stile di vita

In questi giorni cade il trigesimo della scomparsa del professore Domenico Romano, latinista, intellettuale e poeta palermitano. Inseriamo nell'occasione sul nostro sito l'articolo di commemorazione scritto da Francesco Deliziosi e pubblicato dal Giornale di Sicilia il 30 gennaio 2012, subito dopo la scomparsa del professore

«Libertà/tu sei la vita,/se vita è sogno,/o sei nulla». Sono versi del professore Domenico Romano, latinista insigne e intellettuale antifascista, poeta e giornalista, scomparso a Palermo a 89 anni. La lirica, cui era particolarmente legato, si intitola "Libertà" e come incipit si addice alle sue scelte di vita. Al suo essere non solo docente dalla cultura profondissima ma anche punto di riferimento per i suoi studenti quanto ai valori fondamentali dell'esistenza.
Romano ha trascorso in cattedra quasi 60 anni: allievo di Bruno Lavagnini e poi assistente di Cesare Bione, ha insegnato al liceo Vittorio Emanuele II e in seguito dal ’74 alla facoltà di Lettere da ordinario. Il suo nome è stato sinonimo dello studio del latino. Anche dopo la pensione, ha continuato fino a 82 anni a seguire laureandi e a tenere lezioni con preziosi approfondimenti.
Sterminata la bibliografia, che si apre nel 1947 con un saggio («Due storici di Attila: il greco Prisco e il goto Jordanes») che approfondiva la sua tesi. E poi il Sallustio minore, Catullo (tradotto in siciliano), l'amato Lucrezio, le ricerche sulla letteratura tardo-antica, che - sottolineava con geniale intuizione - «a torto è considerata un periodo di decadenza e invece ha dignità e caratteri di grande modernità».
Non mancherà alla facoltà di Lettere approfondire e commemorare la sua statura di latinista. Qui si consentirà a chi scrive un ricordo personale: fui richiamato agli studi dalle sue lettere accorate. Avevo infatti interrotto la frequenza all'università per via del lavoro in redazione al Giornale di Sicilia. Romano mi convinse a riprendere e mi seguì personalmente fino al traguardo della laurea con un lavoro su Quinto Cicerone e la corruzione durante le campagne elettorali della Roma repubblicana. Anche questo un argomento che era stato oggetto di un suo saggio giovanile. Domenico Romano era davvero così: conosceva i suoi alunni nome per nome, li seguiva con grande passione, con un rapporto diretto davvero atipico (purtroppo) nel mondo universitario. Con i ragazzi rievocava il suo passato di antifascista e l'ascolto di Radio Londra, l'8 Settembre e la fuga da Campobasso verso Palermo a piedi, passando da un burrascoso incontro con Padre Pio.
Particolarmente cara gli era anche la sua produzione poetica: diverse raccolte, la prima del ’72, l’ultima nel 2008. I valori della democrazia e della Costituzione gli erano rimasti impressi a fuoco nell’animo. E non a caso per gli studenti fu una bussola per tante battaglie politiche, dalle marce contro la guerra in Vietnam alle lotte del Sessantotto, fino al movimento della Pantera. Da questa passione civile nacque anche l’impegno giornalistico, sul L’Ora già negli anni Quaranta (gli articoli saranno raccolti adesso dall’Istituto Gramsci) e poi sul Giornale di Sicilia negli anni Ottanta e infine ancora sul L’Ora. Lo colpiva il degrado della politica, combatteva contro il riflusso, il disinteresse delle giovani generazioni: «Ormai - scriveva nel ’91 - si potrà solo lottare perché lo straccetto di libertà che ci resta tra le mani prima o poi non ci venga sottratto. La giustizia sociale è di nuovo un’utopia, resta un’utopia. Anche questa salviamola, serbiamola dentro di noi». Per aspera ad astra. Grazie, professore.

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