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Olimpiadi 2020 e il no di Monti, scelta prudente

Non ci sarà la candidatura dell'Italia alle Olimpiadi 2020. Come aveva già lasciato intendere in questi giorni, il governo ritiene eccessivo lo sforzo economico richiesto. Una decisione presa per senso di responsabilità. In corsa restano Tokyo, favorita a questo punto, Madrid, Istanbul, Baku. La scelta definitiva verrà fatta il 7 settembre 2013. L'Italia non ci sarà. Lo Stato avrebbe dovuto mettere mano al portafoglio per una garanzia di 4,7 miliardi di euro, con il rischio concreto - vedi la crescita dei costi per Londra 2012 - di dover rimpinguare il budget. Vista la situazione instabile dell'economia, l'ennesimo declassamento di Moody's, e il taglia e cuci già fatto con la manovra Salva Italia, Monti non se l'è sentita di impegnare le finanze pubbliche e ha respinto gli accorati appelli provenienti da più direzioni.
Una linea prudente, a fronte di casi in cui la decisione opposta si è rivelata problematica. Su tutti Atene 2004: da un esborso previsto di 4,5 miliardi di euro, si è arrivati a 8,9 miliardi, il 3,9% dell'intero reddito nazionale, a fronte di incassi per i diritti tv pari a 1,2 miliardi. Uno sforzo, 7,2 miliardi sulle spalle della spesa pubblica, che ha contribuito a mettere in ginocchio il paese. Gran parte delle difficoltà di oggi nascono lì. Ha fatto storia, in negativo, anche Montreal (1976), con un debito olimpico di 2,5 miliardi di dollari e trent'anni di tasse per sanarlo. In sostanza i cittadini canadesi hanno smesso di pagare nel momento in cui si accendeva la fiaccola a Pechino.
Rimanendo a Roma e ai Mondiali di Nuoto (2009) c'è da ricordare il «polo natatorio» costato 256 milioni di euro e attualmente in stato di abbandono. Per non parlare delle notti magiche di Italia 90 con gli stadi costati quasi il doppio del preventivi (1.200 miliardi di lire contro 600) e successivamente, in qualche caso, anche abbattuti (basti per tutti l'esempio di Torino). Per non parlare delle infrastrutture. A simbolo dello spreco la stazione ferroviaria di Farneto, a Roma, costata 15 miliardi, sempre di lire, messa in funzione per quattro giorni, e poi abbandonata.
Tra qualche anno sapremo cosa ne sarà di Londra e degli effetti dei 9,3 miliardi di sterline sul piatto a cinque cerchi, il 67% dei quali messi a disposizione del governo. Una questione che va analizzata anche per ciò che concerne i benefici diretti e indiretti. I diritti televisivi sono solo uno dei pezzi di un puzzle composto da costruzione di grandi opere e investimenti nella viabilità e negli edifici della città ospitante. Un esempio su tutti, Barcellona, trasformatasi nel 1992 con una spesa, l’equivalente di 6 miliardi di euro, divisa fra pubblico (3,2) e privato (2,8). A proposito di divisione della spesa, fa scuola Los Angeles, che nel 1984 mise l'intera operazione nelle mani dei privati (500 milioni), utilizzò strutture già esistenti e chiuse in utile.
Purtroppo in Italia le cose non vanno così. Valga per tutti l'esempio di Expo Milano 2015. L'aggiudicazione della manifestazione, quattro anni fa venne accolta come un successo nazionale. Oggi i nuovi amministratori della città, se potessero, tornerebbero volentieri indietro. La coperta è piccola per coprire tutto e tutti ed evidentemente Monti non iscrive fra le sue priorità i tentativi di allungarla.
Tanto più che il ricordo delle Olimpiadi del '60 appare struggente. Cinquantadue anni fa la fiaccola si accese su una nazione che, a un secolo dalla sua nascita, voleva affermare il proprio orgoglio e la propria forza: il miracolo economico, la ricostruzione dopo la guerra perduta, l'oscar alla lira, il futuro meraviglioso. Roma come città della Dolce Vita, i bar di via Veneto, Anita Ekberg che fa il bagno nella Fontana di Trevi. Altri tempi. Purtroppo oggi che cosa dovremmo celebrare? Disgraziatamente la fine di quei sogni. Meglio allora lasciar perdere.

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