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Conti in ordine ma Palermo chiude

Il paradosso è spiegato dalla mancanza di politiche sociali ed azzerando gli investimenti in infrastrutture ed opere pubbliche. Come uscire dal tunnel? Diminuire le spese per il personale, impegnarsi nel contrasto all'evasione fiscale, più investimenti in infrastrutture e raddoppiare la spesa sociale

Prima che il phon, il vento caldo, della campagna elettorale cominci a soffiare su Palermo, riducendo progressivamente la «visibilità», può essere opportuno rivolgere uno sguardo distaccato alla situazione del Comune, alle principali criticità ed alle possibili vie di uscita. Per un confronto aggiornato al 2011, viene in aiuto un'indagine dalla Lega delle Autonomie, dalla Cgil e di Ires. Palermo ha una montagna di problemi, ma paradossalmente tra questi non c'è la tenuta del bilancio comunale. Palermo non fa ricorso ad anticipazioni bancarie né a prestiti come molti altri comuni; non a caso quindi il livello di indebitamento è tra i più bassi d'Italia. Basti pensare che per rimborsare i debiti del Comune, ogni palermitano paga in media 20 euro all'anno, rispetto ai 100 di un milanese e addirittura ai 140 euro di un torinese. Insomma si percepisce chiaramente che le redini dei conti sono tenute con mano salda.
Ma come è possibile che una città, tartassata dalla crisi e da pesanti tagli, una città che alla vista appare in stato preagonico, possa avere i conti in ordine? L'apparente paradosso è presto spiegato. Questo risultato è stato possibile mandando letteralmente in soffitta le politiche sociali ed azzerando gli investimenti in infrastrutture ed opere pubbliche! I numeri sono impietosi. Per i servizi agli anziani, per aiutare i minori, contrastare il disagio sociale e supportare i diversamente abili, a Palermo si spendono appena 132 euro all'anno pro capite; a Milano la spesa sociale è di 320 euro, a Torino di 290. E la tendenza degli ultimi anni è sconfortante; tra il 2006 ed il 2011 la spesa sociale del comune di Palermo - che era già bassa in partenza - è crollata di un ulteriore 16%, mentre nel resto d'Italia è lievitata del 25%!
Ancora più deludente è stata la politica degli investimenti. Quella che in gergo ragionieristico è definita la spesa in conto capitale, viene considerata a ragione «l'intervento strategico fondamentale» di un comune; riguarda la realizzazione e la manutenzione straordinaria delle infrastrutture necessarie per dotare la città dei principali servizi: viari e per il trasporto pubblico, per la tutela dell'ambiente (inquinamento e rifiuti), per gli interventi in edilizia pubblica. In realtà un po' tutti i comuni italiani hanno reagito alla crisi ed al taglio dei trasferimenti statali, agendo proprio sulla riduzione degli investimenti. In cinque anni i comuni italiani hanno così diminuito la spesa in conto capitale del 17%, ma a Palermo è crollata del 95%! Nella media dei comuni italiani si spendono per le opere pubbliche 780 euro a testa, mentre a Palermo ci siamo fermati ad uno striminzito 134 euro.
Ora il refrain dei prossimi mesi sarà: «Non ci sono più soldi». Ed è vero. Con l'ultimo intervento del governo Monti il quadro si aggraverà ancora. Per chi è in campagna elettorale sarà forse agevole chiedere o ipotizzare aiuti esterni da Stato e Regione. Ma chi tiene le redini dei conti sa che questo tipo di soluzione è abbastanza irreale. Piuttosto bisogna muovere le leve di propria competenza, a cominciare dalle entrate. E qui non mancano le sorprese e le possibilità. Le entrate da tributi locali a Palermo sono di appena 164 euro a testa. Nel resto d'Italia il gettito tributario comunale è di ben altro livello: 370 euro a testa. E se qualcuno la volesse buttare sul piagnisteo meridionalistico, basterà ricordare che nella media dei comuni del sud il gettito medio dei tributi locali è il doppio di quello palermitano: 326 euro. Impegnarsi nel recupero degli evasori oggi può essere molto remunerativo; la manovra Monti lascia infatti agli enti locali, per tre anni, l'intero gettito fiscale che sarà possibile ricavare dall'azione di contrasto all'evasione da parte dei comuni, i quali peraltro possono ora accedere a due potenti banche dati (Siatel e Sistrel) per scovare i più renitenti. L'altra voce di entrata, quella cosiddetta extratributaria, riguarda essenzialmente il ricavato dei servizi a tariffa (rifiuti, gas, trasporti, asili) e le contravvenzioni. Ebbene, Palermo conta entrate per appena 84 euro pro capite, rispetto ai 362 euro a testa della media dei comuni italiani. Resta infine il dato atipico della spesa per il personale pubblico. Inutile ricordare che a Palermo è il più alto d'Italia per l'eccessivo numero dei dipendenti; e qui parliamo soltanto di dipendenti comunali. Ma come tacere che nelle società controllate e partecipate dal comune di Palermo il costo del personale sfiora i 300 milioni di euro all'anno? La ricetta per uscire dalla drammatica situazione in cui si trova il comune di Palermo è quasi banale: diminuire drasticamente le spese per il personale, impegnarsi in un efficace contrasto dell'evasione fiscale, aumentare sensibilmente i ricavi da tariffe e servizi pubblici, fare più investimenti in infrastrutture e raddoppiare almeno la spesa sociale. Come invece raggiungere questi obiettivi è compito della politica e degli amministratori che verranno. L'augurio è che non si scelga la scorciatoia di fare pagare di più quelli che comunque già pagano.

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