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Addio Sicilia, con rabbia e amarezza

Addio Sicilia. Con rabbia e amarezza. Non scappo. Entro in trincea. La rivoluzione è cominciata. E sarà nel nome di Caravaggio, di Rubens, di Guercino, di Modigliani, di Cezanne, di Picasso. E di chi ne capisce la forza eversiva, non chi di cerca di rianimare i fossili della mafia coltivando una sottocultura. Dell'ignoranza. È impossibile fare il sindaco in Sicilia, con poteri occulti che ti ostacolano, che io, in quanto tali, non ho mai visto, ma che, a giudicare da quello che prospettano gli ispettori della Commissione di accesso agli atti - che avrebbe chiesto lo scioglimento del consiglio per supposti «condizionamenti mafiosi» - ci sono. Proprio per questo mi rendo conto di essere in pericolo e di non volere continuare a operare in un ambito di rischio che è identificato oltre la mia possibilità di comprensione. Per questo mi dimetto da sindaco. In oltre 3 anni di sindaco non sono mai stato condizionato nella mia attività. Posso solo dire di avere sbagliato a candidarmi, e che l'ho fatto per ottimismo, convinto dei valori e della civiltà della Sicilia.



Sono fiero di quello che ho fatto davanti al mondo. Combatto la mafia dove c'è; non la cerco e non la evoco dove non c'è. Si evoca Giammarinaro, ex parlamentare della Dc oggi sotto inchiesta per fatti che riguardano la sanità, in anni passati, e non l'attività del Comune durante il mio mandato. Ma ci si dimentica di dire che Giammarinaro non è indagato per mafia. Un paradosso che solo in Sicilia si può verificare, e cioè subire il «condizionamento mafioso» di un soggetto che non lo è. A Salemi ho conosciuto solo persone oneste, laboriose, appassionate e abbandonate, dallo Stato e dalla mafia.


Non devo difendermi da nessuna accusa. Sarà opportuno ricordare che nell'indagine «Salus Iniqua» vengo riconosciuto come «parte lesa».
Verifico però l'impossibilità, in Sicilia, di fare azioni nuove e diverse. Rilevo inoltre la capacità di valutazione profondamente difforme tra chi prospetta scenari di condizionamento mafioso - di cui non ho mai avuto percezione - e quello che abbiamo fatto, che è sotto gli occhi di tutti, ammirato dal mondo intero: mostre, festival, nuovi musei, un rinascimento culturale che non ha eguali in Europa nel rapporto tra risorse impegnate e riscontro mediatico. Oggi incontrerò il ministro degli Interni. Aspetto che mi si indichino quali siano gli atti della mia amministrazione «condizionati» dalla mafia. Non aspetterò di essere squalificato e allontanato con un atto arbitrario e iniquo. Accetto anche quello che non capisco, ma non mi piego. Dovrannpo documentare le ipotesi degli ispettori. non mi accontenterò di umori, arie, atmosfere, ammiccamenti, insinuazioni.



Dove c'è povertà, dove c'è disoccupazione, dove l'economia è ferma (quasi ovunque in Sicilia) con gravi patologie e sistematiche mortificazioni dell'agricoltura, la disonestà e la propensione al crimine sono inevitabili: e lo Stato combatte contro le patologie che genera. In più, per dare la misura della propria efficienza, della propria severità e del rigore delle misure contro la criminalità, si moltiplicano le inchieste e le operazioni di repressione, con le più variopinte denominazioni: «Salus iniqua» o «Campus belli».


Ho più volte denunciato la natura criminale dell'invenzione di reati inesistenti con l'obiettivo di esaltare l'impegno, quando non l'eroismo, degli inquirenti, e anche di quelli che invocano, in situazioni sempre scivolose, «tolleranza zero». La lotta alla mafia è l'unico elemento su cui si muove la dialettica politica, strumentalmente. Per il resto ogni buona azione, ogni slancio, sono inutili. Ho cercato di fare l'amministratore rispettando e valorizzando la dignità culturale di Salemi, ma l'unica cosa per cui se ne parla oggi, vigliaccamente, è inestinguibile evocazione mafiosa: una malattia mortale, anche quando ne restano solo i fantasmi. Essere mafiosi non è un dato ontologico: se non lo fai, non lo sei. E a Salemi, durante il mio mandato, nessuno lo ha fatto. Nessuno. Accettare di essere chiamati mafiosi è la vera vittoria della mafia. Che domina anche dove non c'è. Nella mente di quelli che la vedono. E forse la rimpiangono.

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