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I missili e la tensione tra Usa e Iran

Due missili rilanciano la crisi e la tensione nei rapporti fra Stati Uniti e Iran. Due missili a medio raggio che però il regime di Teheran ha «promosso» per motivi propagandistici a supermissili a lunga gittata e che sono stati lanciati in un momento psicologicamente delicato e complesso: mentre l'America si appresta a convincere l'Onu a inasprire ulteriormente le sanzioni contro l'Iran e mentre il governo di Teheran rilancia, come contromisura, il progetto di una alleanza «strategica» con diversi Paesi dell'America Latina. Il tutto in coincidenza col decimo giorno delle manovre navali nel Golfo e del minacciato blocco dello Stretto di Hormuz, da cui transita il 40 per cento di tutto il petrolio estratto nel mondo. I due missili hanno nomi più importanti della gittata: il Qader (che significa «capace») ed è tecnicamente definito come terra-mare e il Nour («luce»), destinato a un uso mare-mare. Le basi iraniane più avanzate sono a 225 chilometri da Bahrein, dove «abita» la Quinta Flotta Usa e a circa mille chilometri da Israele, ma il clamore con cui il regime di Teheran ha annunciato di averli «sperimentati con successo» si spiega principalmente con la guerra di minacce e controminacce in corso da quando l'Iran ha iniziato - appunto dieci giorni fa - le sue manovre navali nel golfo e con la mossa americana tesa a «vedere» il bluff, spedendo dimostrativamente delle potenti navi da guerra a transitare dallo Stretto. Indisturbate come previsto: gli iraniani si sono affrettati a precisare di non avere mai avuto l'intenzione di bloccare il traffico attraverso Hormuz ma di essersi limitati a «condurre esercitazioni», che però includono, almeno teoricamente, movimenti che potrebbero portare a stabilire un blocco.
Più che militare il fine è propagandistico, o parte di una «guerra di nervi»: una minaccia di ritorsione sull'economia mondiale per le nuove, inasprite sanzioni. Quelle che gli Stati Uniti hanno deciso unilateralmente (Obama ha appena firmato il decreto che colpisce il movimento dei capitali da e per l'Iran) e quelle che le Nazioni Unite sono invitate a prendere, che riguardano il bando alle importazioni di greggio iraniano e che potrebbero rendere quasi impossibile l'importazione di petrolio da uno dei 4 massimi produttori al mondo. Ma che potrebbe essere anche un'arma a doppio taglio perché farebbe salire ulteriormente il prezzo delle importazioni energetiche. Tanto per stare nel sicuro Israele si è affrettata a prevenire un possibile panico in Occidente, constatando che un «confronto» nel Golfo fra Iran e Stati Uniti è impensabile data l'enorme sproporzione di forze fra i contendenti; l'Onu dunque può votare il proposto quinto embargo contro Teheran senza particolari preoccupazioni: il vero pericolo sono i progetti nucleari di Ahmadinejad. Che a sua volta si è detto pronto a una ripresa delle tradizionali trattative a sei, che hanno visto allo stesso tavolo con l'Iran gli Usa, Russia, Cina. Gran Bretagna, Francia e Germania. In realtà l'unica «controffensiva» su cui Teheran può puntare è quella dei collegamenti con l'America Latina. Il primo ministro iraniano si appresta a partire per quella regione del mondo per una visita a 4 Paesi: il Venezuela, il Nicaragua, la Bolivia e Cuba. Gli ultimi tre hanno ricevuto qualche milione di dollari dall'Iran, molto meno di quanto era stato promesso nel corso degli anni. Il Venezuela è in un'altra posizione ed è nei fatti l'unico che potrebbe fornire all'Iran una «copertura diplomatica» per manovre finanziarie per aggirare l'ultimo embargo americano. Il tutto rivestito di una solenne dichiarazione in cui si sottolinea come «l'intensificata cooperazione con Paesi dell'America Latina è fra le massime priorità della politica estera della Repubblica Islamica». I «falchi» di Washington hanno subito reagito con allarme, sottolineando il pericolo che le missioni commerciali di Teheran servano anche a «coprire» le attività di una speciale branca militare chiamata Quds che può avere rapporti con organizzazioni terroristiche nella regione. La deputata repubblicana Ros-Lehtinen, presidente della Commissione Esteri della Camera, vede in questa mossa «una minaccia iraniana più vicina alle nostre sponde». L'opinione pubblica Usa, tuttavia, non condivide l'allarme. L'ultimo sondaggio dice che solo il 15 per cento degli americani ritiene necessaria una azione militare contro l'Iran.

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