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Prima di tutto i programmi

Berlusconi perde i numeri in Parlamento. Sul rendiconto le opposizioni si astengono. Votano per lui 308 deputati (la maggioranza assoluta è di 316). E ne prende atto. Ma non si è ancora alla crisi. Questa diventerà formale tra qualche giorno. Ieri il premier ha concordato col Presidente della Repubblica un nuovo passaggio parlamentare. Si voterà la legge di stabilità con dentro le misure per lo sviluppo concordate con l’Europa. Poi rimetterà il mandato. Partiranno le consultazioni...
Scelta lineare. Per due ragioni. Prima. Le misure per lo sviluppo che l’Europa apprezza sono nell’interesse del Paese e dei nostri partners europei. Non riguardano solo una maggioranza. Possono, anzi debbono, essere nella considerazione delle opposizioni. Tanto più nel momento in cui queste si candidano a formare nuovi governi. Seconda. I no e i sì alla legge di stabilità daranno ai cittadini un quadro chiaro delle politiche che si vogliono adottare contro la crisi e l’assunzione di responsabilità nazionale da parte di ciascuna delle forze in campo.
La chiarezza si impone. È compito di tutti garantirla. Considerando in primo luogo un punto cruciale. È in corso la più grave crisi finanziaria del dopoguerra. L’incertezza politica sconvolge i mercati. Si è visto già ieri. Dopo il voto sul rendiconto gli interessi sui titoli pubblici sono volati verso l’alto. Creando un contesto che, senza mezzi termini, il commissario europeo Rehn definisce drammatico (ed aggiunge che sono necessarie per l’Italia nuove strette di cinghia). Non basta un Berlusconi da parte per rassicurare cancellerie e mercati. Ci vogliono scelte concrete che riducano il nostro debito e spingano l’economia stagnante verso la crescita. La Ue ci chiede questo. Non in astratto. Indica misure concrete (fra l’altro liberalizzazioni, riduzioni della spesa per pensioni e personale pubblico, nuove regole per le assunzioni e i licenziamenti nelle aziende private). Bisogna pronunciarsi su queste nei tempi più rapidi. E non si cada nelle alchimie della vecchia politica cercando compromessi confusi e maggioranze incerte. Nessuno le accetterebbe. Né in Italia né nel mondo che dall’Italia aspetta risposte congrue. Qualsiasi scelta di schieramento o anche quella di elezioni anticipate deve avere il suo centro nei programmi e nelle cose da fare. Parafrasando il Financial Times potremmo dire: «In nome di Dio non si dimentichi questo».

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