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Pensioni, riforma inevitabile

Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha annunciato che sulle pensioni uno spiraglio si è aperto. Nel muro costruito dalla Lega, a quanto pare, c'è una breccia. Ancora piccola viste le bellicose dichiarazioni di Umberto Bossi. Bisogna sperare che sia una fessura sulla quale lavorare. Questa mattina Berlusconi non si presenterà a Bruxelles a mani vuote. Non avrà disponibile il decreto definitivo come avevano chiesto la Merkel e Sarkozy. Ma nemmeno il vuoto assoluto. Nessuno nega la difficoltà del percorso. Tanto più che Umberto Bossi non cessa di disseminare la strada di trappole. La difesa delle pensioni di anzianità resta una trincea blindata. 
Secondo le indiscrezioni trapelate, l'accordo di massima prevede un'apertura relativa alle pensioni d'oro, alle baby pensioni, al sistema relativo alle invalidità e, forse, all'innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel privato ma in tempi graduali. Resta la chiusura totale sugli assegni che maturano dopo trentacinque anni di contributi. Bruxelles, insomma, probabilmente boccerà l'intesa anche perché l'Europa chiede una riforma messa nero su bianco in tempi record. La pace armata tra Silvio e Umberto assume così i connotati di una mossa per prendere tempo e cercare una quadra definitiva al problema: tempo massimo, una settimana. Bossi sta giocando una partita ad alto rischio e per calcolo politico è portato a non disdegnare una crisi di governo.
In questo caso si assumerebbe una responsabilità non trascurabile. Tanto più che nel 2004 il Carroccio aveva adottato un atteggiamento ben diverso. Un esponente di primo piano come Roberto Maroni, in quanto ministro del Lavoro, aveva messo il nome su una riforma che, se attuata, avrebbe risolto già allora il problema. Era il famoso «scalone» che nella notte del 31 dicembre 2007 avrebbe bloccato per sempre le uscite anticipate. Il centrodestra, però, perse le elezioni e Cesare Damiano, ministro al posto di Maroni, cancellò la modifica. Sette anni dopo la ruota della politica è tornata a quella casella. In condizioni economiche e politiche ben peggiori. La Lega nel frattempo ha cambiato idea. Evidentemente guardando più alla sua bottega elettorale che non agli interessi del Paese. L'aveva già fatto nel 1994 provocando, ancora una volta sulle pensioni, la caduta del primo governo Berlusconi. La storia si ripete. Vale allora a pena ricordare la cocente sconfitta del centro destra alle successive elezioni del '96.

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