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Manovra, i conti non tornano

Non è detto che i conti tornino. Non è detto affatto. Anche se ieri pomeriggio il ministro Tremonti si è detto certo del contrario: «I saldi della manovra finanziaria restano invariati». Certo qualche spazio per il dubbio esiste. Le entrate certe sono sparite dal testo. Non c’è più il contributo di solidarietà che, da solo, provoca un buco di circa 4 miliardi. Poi è stato cancellato il giro di vite sulle pensioni. Adesso tutto il peso sull’aggiustamento ricade sulla lotta all’evasione fiscale. Per rendere più convicente l’annuncio è stata riaffermata con forza la minaccia delle manette. I disertori del fisco che superano la soglia dei tre milioni finiranno per direttissima in galera. A parte la soglia, che appare molto elevata, c’è da dubitare sull’efficacia.
Lo stesso Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate, si è affrettato a prenderne le distanze. Ha affermato, pubblicamente, che l'idea non è sua. Se non è una dissociazione in piena regola poco ci manca. In effetti la norma, introdotta per la prima volta nel 1982, ha prodotto effetti molto limitati. Al punto che ad abolirla sostanzialmente era stato nel 2000 Vincenzo Visco che certo non poteva essere considerato un ministro indulgente con i disertori del fisco.
Ora l’idea torna come strumento di dissuasione alzando la soglia per non intasare le Procure come accadeva un tempo. Per rendere ancora più efficace la deterrenza Tremonti ha annunciato che le dichiarazioni dei redditi verranno rese pubbliche attraverso Internet. L'idea di fondo è quella della gogna: il gioielliere che guadagna meno del suo impiegato forse dovrebbe provare vergogna. Così come l'officina che dichiara meno di un operaio metalmeccanico.
Neanche questa, però, è un'idea nuova. Ci aveva già provato il governo Prodi suscitando clamore e curiosità. La trasparenza, però, era durata poco. L'intervento dell'Agenzia per la privacy aveva oscurato tutto. Le dichiarazioni dei redditi pubblicate sul web erano state etichettate sotto la formula di dati sensibili e, come tali, lesive dell'onorabilità dei contribuenti. Accadeva tre anni fa. Non si capisce che cosa sia cambiato nel frattempo.
Ma c'è di più. Tremonti sostiene che la lotta all'evasione fiscale consentirà di mantenere invariati i saldi di bilancio. Insomma i sei miliardi scomparsi con l'abolizione del contributo di solidarietà e le pensioni dovrebbero tornare come penalità dei disertori fiscali. Impegno certamente lodevole, ma privo di riscontri. Per quest'anno l'Agenzia delle Entrate ha previsto di portare a casa undici miliardi. Correttamente questa cifra non faceva parte di nessun bilancio trattandosi di una semplice previsione. Adesso entra a pieno titolo nel perimetro della manovra. Ma chi garantisce che questi soldi saranno effettivamente incassati? E soprattutto: come trovarli senza costruire uno Stato di polizia fiscale? Difficile. Ma Berlusconi sostiene che è possibile.
L'indeterminatezza della maggioranza si sposa, purtroppo, con la vaghezza dell'opposizione. Bersani insiste sul prelievo aggiuntivo a carico dei capitali rientrati con lo scudo fiscale. Sa benissimo che non si può fare perché la reazione sarebbe una fuga generalizzata verso Lugano e i paradisi fiscali. Altrettanto inutile parlare della dismissione del demanio militare in disarmo per incassare 25 miliardi in cinque anni. Si sa benissimo che in Italia anche la vendita di un vecchio deposito è difficile. Figuriamoci l'intero patrimonio. Così viaggiamo nella nebbia. Sperando che la Bce non si stanchi di comprare i nostri Btp.

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