Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Lavoro, a lezione dai tedeschi

Jean Claude Trichet, governatore della Banca centrale, invita l’Italia e imitare la Germania riformando il mercato del lavoro. Parole che certamente non saranno piaciute a Susanna Camusso.
Il segretario della Cgil che per la giornata di oggi ha proclamato uno sciopero generale di otto ore. Tanto meno all'opposizione che già annuncia battaglia in Parlamento contro l'emendamento dell'articolo 8 della manovra che prevede una rivoluzionaria riforma in tema di licenziamenti. Se il testo sarà approvato sarà possibile, ottenuto il via libera del sindacato, allontanare dei lavoratori giudicati in esubero. Ovviamente sarà concordato un premio da aggiungere alla liquidazione e alle indennità di legge.
Un attentato ai diritti intangibili dei lavoratori, è stato giudicato da Pd e Idv. Peccato che una norma del genere già esiste in Germania da sei anni ed è una delle molle che ha fatto scattare verso l'alto il Pil tedesco. Il fatto che l'abbia adottata la Germania, dove la presenza del sindacato nella gestione delle aziende, è molto forte dimostra che, probabilmente, si tratta semplicemente di una norma di buon senso e non di un corrusco frutto della reazione. Per chi ha la memoria corta ricorderemo che il provvedimento non fu approvato da dal centro-destra ma passò con i voti della maggioranza di sinistra che allora appoggiava il cancelliere Schroeders. Fu uno degli ultimi provvedimenti adottati prima delle elezioni politiche. Probabilmente fu anche una delle cause della sconfitta epocale della Spd contro la Cdu di Angela Merkel. Dimostra, però, che veri statisti, nel momento dell'emergenza, sanno privilegiare gli interessi del Paese.
La legge passa sotto la definizione di «Riforma Hartz». Prende il nome dall'ex capo del personale della Volkswagen che guidò i lavori preparatori. Il complesso è formato da quattro leggi approvate fra il 2003 e il 2005. I punti toccati sono molti ma tutti in direzione della liberalizzazione del mercato del lavoro. Dalla rottura del monopolio pubblico sul collocamento, fino all'introduzione dei «mini-job». Vale a dire i lavori che possono essere svolti senza bisogno di particolari pratiche burocratiche: per esempio badanti, camerieri o altre attività che impegnano poche ore al giorno. In questo modo è stato possibile combattere il lavoro nero e dare impulso a nuova occupazione altrimenti costretta alla marginalizzazione.
Ma i punti qualificanti sono due: la liberalizzazione dei licenziamenti e la riforma degli ammortizzatori sociali. Sul primo punto il parlamento tedesco ha adottato una misura non molto diversa da quella prevista dall'articolo 8. Casomai ancora più restrittiva. Il lavoratore licenziato, infatti, ha diritto ad una tariffa legale: mezzo stipendio mensile per ogni anno di lavoro. Ovviamente può non accettare e chiedere di più ritenendo, per esempio, che il suo allontanamento sia strumentale oppure frutto di discriminazioni. Il ricorso al giudice però presenta un alto profilo di rischio: se il lavoratore perde la causa non ha più diritto al premio. Un sistema che ha il pregio di limitare la litigiosità e non intasare i tribunali.
Non meno incisiva la riforma degli ammortizzatori sociali. Il criterio-chiave è che chiunque ottenga aiuti debba dimostrare di meritarseli. Facendo di tutto per porre termine al più presto alla sua dipendenza dal welfare. È il principio che Tony Blair seppe imporre a Londra secondo il motto «smettetela di chiedervi quanto lo Stato e il paese possono fare per voi, chiedetevi quanto voi potete fare per Stato, paese, collettività». Il sussidio di disoccupazione, pagato ai circa 4 milioni e mezzo di disoccupati tedeschi, è stato tagliato. Prima della riforma era pari al 60 per cento circa dell'ultima retribuzione. È stato ridotto al livello dell'assegno-previdenza fornito ai poveri, cioè 160 euro per i single e 320 per le coppie. Più generosi aiuti per fitto, bollette di luce, gas telefono e acqua, spese per i figli. In media per famiglia, attorno ai 1500 euro.
Non è poco. Ma non è tutto: chi rifiuta un lavoro o non dimostra di fare di tutto per trovare un impiego viene punito con un taglio di 100 euro per tre mesi del sussidio. E i giovani sotto i 25 anni che rifiutano un impiego o corsi di riqualificazione professionali sono sanzionati con tre mesi di taglio totale dell'assegno-previdenza. Chi non vuole essere colpito dalle misure punitive deve accettare anche lavori diversi da quelli precedentemente svolti, o analoghi ma sottopagati, anche meno del contratto nazionale. È ritenuto giustificabile solo un no a un lavoro pagato oltre il 30 per cento in meno del livello medio di fatto della branca, o un caso estremo di cambiamento. Un pianista può rifiutarsi di diventare operaio edile, un metalmeccanico o un bidello no.
Per approvare misure di questo genere, in Italia, si parla di un possibile governo tecnico. Un eufemismo per nascondere che l'eventuale esecutivo dovrebbe ottenere il voto della sinistra. Solo una domanda: il Pd avrebbe la forza di far votare un provvedimento del genere? In Italia non si vedono eredi della tradizione di Schroeders.

Caricamento commenti

Commenta la notizia