La corporazione dei magistrati ha reagito all'approvazione in Parlamento della legge sul processo breve e sulla riduzione della prescrizione con inaudita durezza, che vale tuttavia a far comprendere quanto sia aspro ormai lo scontro fra poteri, scontro che degrada la nostra democrazia e la fa apparire pallida e incerta. L'associazione nazionale dei magistrati per bocca del suo presidente Palamara ha riversato su governo e parlamento una serie di accuse ingiuriose che vanno dalla resa alla criminalità all'«uccisione dei processi». È evidente che le toghe respingono ogni tentativo di riforma della giustizia, anche se quella italiana è ormai in uno stato comatoso. Facciano attenzione i deputati dell'opposizione perché il disprezzo nutrito per la Camera li coinvolge e li investe. I magistrati si sono arrogati il diritto di fustigare pubblicamente il legislatore: l'avevano già fatto altre volte, ma mai con questa virulenza. Sia chiaro, questa reazione era prevista, ma non per questo può placare l'indignazione di tutti quegli italiani che credono di vivere in uno stato di diritto basato sulla divisione dei poteri, o comunque sperano di arrivarci. Questa volta l'ordine giudiziario è veramente uscito dagli argini con una mossa inquietante e le minacce delle toghe di indire manifestazioni di protesta lasciano intravvedere sviluppi peggiori. I deputati dell'opposizione, che durante la seduta finale hanno letto brani della Costituzione, dovrebbero ricordare - sono cresciuti nei partiti e nelle annesse scuole - che durante i lavori della Costituente si discusse a lungo sul ruolo e sui poteri del Consiglio superiore della magistratura. Per riaffermare la dignità e l'indipendenze della politica nell'interpretare e guidare il Paese si convenne che il Csm non era e non poteva essere una specie di «terza camera». Oggi siamo ben oltre la rappresentazione di quel pericolo: il Csm sostenuto dall'associazione magistrati, entrambi con le loro correnti e formazioni politiche ambiscono ad essere la prima camera, anzi l'unica. Se si continua di questo passo arriveremo a una Costituzione il cui primo articolo potrebbe essere così formulato: «L'Italia è una Repubblica basata sulle sue procure». Ma la reazione dell'Anm è discutibile anche nei contenuti. In essa si legge di «amnistia permanente». Occorre ricordare che negli anni Cinquanta e Sessanta la magistratura non brillava per efficienza e negli uffici giudiziari si ammucchiavano senza speranza migliaia e migliaia di fascicoli giudiziari. E allora la politica doveva incaricarsi di un’amnistia (con relativo condono) più o meno ogni due anni. In quel periodo si consolidavano gli stili e la prassi lavorativa delle toghe. I ritardi mostruosi che oggi subiamo hanno avuto una lunga incubazione. I magistrati sostengono ancora che con la nuova legge si opera un’indebita discriminazione fra incensurati e pregiudicati, ma l'aggravamento delle pene per i recidivi è già prevista dal codice penale e non è mai stata considerata incostituzionale. Un'ultima annotazione. È davvero stupefacente la tesi secondo la quale con la legge sul processo breve si sancirebbe una resa davanti alla criminalità, un senso di disfatta e di irresponsabile cedimento gli italiani lo hanno amaramente percepito tutte le volte che certi magistrati sono stati di manica larga in fatto di permessi e di libertà provvisoria, consentendo talvolta ad omicidi di tornare a uccidere durante la libera uscita. Senza scordare l'ostruzionismo che spesso le toghe hanno praticato per sabotare la legge sui rimpatri dei clandestini. Il bello della democrazia è che la memoria non può essere sospesa o annullata con un decreto della magistratura.
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