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Se in Italia si giocano due campionati

Sono d'accordo con il portiere del Chievo, Sorrentino: in Italia si giocano almeno due campionati, uno per le squadre grandissime, che tali devono restare, e uno per le altre., che vivono pericolosamente. Vado dicendolo da un secolo (o quasi) e ormai non mi stupisco più dei gol segnati da Ranocchia (Inter) in fuorigioco o da Robinho (Milan) con determinante «mani», tocco di braccio, con l'arbitro a due passi. Il tutto, naturalmente - come capirete - dipende dalla sorte, ch'è ovviamente benevola coi potenti e distratta con i sudditi: normale - dicevo - in una società che vede sventolare su tutto una bandiera (e non è il tricolore) sulla quale è scritto «forti coi deboli, deboli coi forti». Amen.
Stupisce, dunque, anzi sorprende, anzi sconvolge gli osservatori più obiettivi e competenti vedere nei guai, proprio come due provincialotte, Madame Juventus e Mamma Roma, protagoniste di un drammatico week end di paura, esiti indicibili compresi. La Juve di Agnelli, Marotta e Delneri accusa ormai - salvo miracolo - il fallimento di un progetto che, per il vero, non ho mai capito e che potrei giustificare solo per il grave incidente che ha fatto sparire dalla scena Quagliarella. Il resto, normale amministrazione. Pessima amministrazione, anzi. La Juve d'antan, ch'era abituata a considerare il Sud come il granaio del suo impero, oggi ha ricavato poco o nulla dagli antichi e servizievoli sudditi, segnatamente una sconfitta dal Bari a inizio stagione, due dal Palermo, una dal Napoli al San Paolo e una ieri - tragica - dal retrocedendo Lecce, per non dire delle batoste inflitte alla Signora da ex amiconi come il Parma e l'Udinese. Perché? Soprattutto perché - a parte i tanti errori estivi, primo l'addio a Diego - in Casa Juve non c'è pazienza né metodo: la pazienza di costruire squadra e gioco pezzo a pezzo, il metodo di utilizzare al meglio le risorse disponibili che non son poche e che hanno creato - basta guardare il mercato - solo danni: prima Toni, poi Matri, poi Barzagli, insomma Delneri si è abituato ad avere rinforzi continui senza aver prima tessuto una decente trama di gioco, dopodiche appena uno smette di segnare, o l'altro di difendere, appena ti rendi conto che hai promosso Chiellini a sinistra lasciando drammaticamente scoperto Buffon, allora è naufragio. E magari si illude di aver trovato la squadra, il buon Gigi, quando batte il Milan e l'Inter, ma non è una squadra, quella che vince, non è gioco, quello che prevale, è un riflesso nervoso, è antico orgoglio: bartalianamente tutta da rifare, anche se in questo caso raccomanderei a Andrea Agnelli di aver pazienza coi suoi scombussolati eroi e di dedicarsi con passione al presente e al futuro lasciando perdere (almeno per ora) il passato. Calciopoli.
Difficile, invece, invocare pazienza in Casa Roma. Per Ranieri, voglio dire, che a mio avviso è stato licenziato dai giocatori, autori di una vergognosa resa a Marassi: prima han fatto vedere di esser forti, poi di non voler offrire la loro forza a Ranieri, reso di essere un buon tecnico e un uomo vero purtroppo spinto all'errore, alla caduta, da pedatori che hanno tradito le sue idee di calcio, felicissime appena un anno fa (e felici anche alla Juve che non vive più dal giorno che l'ha cacciato), oggi sciagurate.
Per quel che so di calcio, quando vedo richiamare in panchina Borriello e sostituirlo con Loria, mi vedo nei panni di un condottiero ormai sfiduciato che cerca di esser salvato da qualche pretoriano non partecipante alla (presunta?) congiura. Tutto questo - osceni incidenti della vigilia a Trigoria compresi - avviene alla vigilia della cessione del club agli americani. C'è forse qualcuno pronto a sfoderare l'antico slogan «yankees go home!»?

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