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Fini e il suo odio per Berlusconi

Chissà se tutti coloro che hanno deciso di seguire Gianfranco Fini nella sua ultima avventura politica si aspettavano che, nel discorso con cui ha chiuso l'assemblea costituente del Fli, avrebbe adottato toni addirittura dipietreschi, dedicando più tempo ad attaccare Berlusconi che ad illustrare il progetto politico del suo nuovo partito. Egli ha cercato, naturalmente, di ammantare la sua rottura con l'ex alleato di nobili ideali, sostenendo di essere uscito dal Pdl per restituire alla destra la dignità perduta ed evitare che la fine del berlusconismo ne travolgesse i valori. Ha cercato anche di rivendicare la titolarità di una destra diversa, moderata e non estremista, rispettosa della legalità e della Costituzione. Ma quel che è emerso è stato soprattutto il suo odio verso il Cavaliere, che ha accusato di pretendere di essere al di sopra della legge e di avere trasformato l'Italia nello zimbello del mondo occidentale. Pro forma, ha sposato l'invito del presidente Napolitano ad abbassare i toni, ma in realtà li ha mantenuti altissimi, quasi per marcare l'irreversibilità della rottura con il leader del centro-destra e il partito che aveva contribuito a fondare. Una volta di più, ha difeso senza riserve l'operato della magistratura, proprio nel momento in cui la maggioranza ne contesta con forza l'obbiettività. Inoltre, ha cercato di agganciarsi alla grande manifestazione delle donne contro Berlusconi, che ha oscurato, agli occhi dei media, il suo discorso. «Basta considerare la donna in ragione della sua avvenenza e della sua disponibilità», ha tuonato dal palco, mentre la sua deputata Giulia Bongiorno arringava le dimostranti in Piazza del Popolo con parole altrettanto taglienti: una dimostrazione in più che, nonostante le reiterate affermazioni in contrario, il Fli si sta spostando sempre più a sinistra, cercando collegamenti anche su temi che dovrebbero essergli estranei.
I 3 o 4 mila fedelissimi presenti nel salone della Fiera a Rho hanno tributato a Fini l'ovazione di rito, ma è lecito dubitare che abbiano capito dove li vuole condurre, come riuscirà a conciliare le sue nuove alleanze con il bipolarismo e come intende proporsi agli elettori quando si tornerà a votare. Il Terzo polo, ha cercato di spiegare, non deve essere realtà "terzo", ma Polo della nazione, «forza che abbia una forte volontà riformista e consideri la società moderata il suo interlocutore naturale»; ma come, con un seguito che i sondaggi indicano tra il tre e il quattro per cento, pensa di sostituirsi al Pdl resta un mistero. Chiarissimo, invece, è risultato che intende rimanere aggrappato, nonostante la incompatibilità dei ruoli, alla poltrona di presidente della Camera e ai relativi privilegi, ricorrendo alla finzione di autosospendersi dalla carica di presidente del suo nuovo partito.
Ci sono anche altre cose che, in queste tre giornate che avrebbero dovuto essere di slancio e di speranza, devono avere lasciato perplessi i fedelissimi: da un lato, la defezione, proprio alla vigilia, di Alessandro Campi e Sofia Ventura, i due intellettuali che forse più di ogni altro avevano contribuito al lancio del Fli; dall'altro, l'accentuarsi del divario tra il gruppo massimalista dei Bocchino e dei Granata e l'ala moderata dei Viespoli e dei Ronchi, che si è tradotto in uno scontro per le principali cariche interne. E per evitare nuove defezioni la nomina, dopo un lungo braccio di ferro, di Bocchino a vice-presidente - fortemente voluta da Fini - ha dovuto essere "bilanciata" con altri incarichi a Urso, Menia e lo stesso Ronchi.
La prova del nove delle reali intenzioni di Fini non dovrebbe comunque tardare, perché, anche a seguito della manifestazione di ieri delle donne per chiedere le dimissioni di Berlusconi, la crisi sta conoscendo una accelerazione. Forse suggestionata dal successo delle rivolte nel mondo arabo, la sinistra ricorre sempre più alla piazza, e il probabile accoglimento della richiesta dei Pm milanesi di un processo al premier con rito immediato la incoraggerà a proseguire su questa strada. E con Napolitano che comincia a prendere in considerazione uno scioglimento anticipato, del Parlamento, il parere di un presidente della Camera non più super partes potrebbe risultare molto pesante.

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