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Quel richiamo al riserbo per i giudici

A che cosa faceva riferimento il Procuratore generale della Cassazione Esposito, quando nel suo intervento all'inaugurazione dell'Anno giudiziario ha detto: «I magistrati devono sempre mantenere il dovuto riserbo, perché chi non lo fa non si rende probabilmente conto che una notizia o un giudizio da lui riferiti o espressi, data la funzione svolta, assume una rilevanza tutt'affatto diversa da quelli provenienti dalla genericità dei cittadini; e a questo riserbo non sempre si attengono?».
E quali casi aveva in mente quando, dopo avere fornito un quadro disastroso del funzionamento della Giustizia nel nostro Paese e dei suoi inqualificabili ritardi, ha invitato gli stessi magistrati a «non intraprendere attività processuali inutili?». Ci sembra che, sia pure nel linguaggio felpato proprio degli ermellini, il PG abbia dato espressione al disagio per il comportamento di una parte dei suoi colleghi, stigmatizzato non solo dal premier e dal Pdl, ma anche, in vari passaggi magari un po' criptici dei loro interventi, dal presidente della Repubblica e del Consiglio superiore della magistratura Napolitano e dal cardinale Bagnasco.
In questo momento di conflitto senza precedenti tra la magistratura e la parte maggioritaria della classe politica, ci sono sicuramente molti spunti per le osservazioni di Esposito. Lascia perplessi, per esempio, che magistrati impegnati a sinistra, e magari coinvolti in questo momento di procedimenti giudiziari delicati, collaborino più o meno regolarmente a giornali di parte come Repubblica, l'Unità, Il fatto quotidiano. Lascia ancora più perplessi la velocità con cui le inchieste che hanno valenza politica di un certo tipo vengano svelate in tempo reale, con la diffusione di intercettazioni che hanno l'unico, evidente scopo di alimentare processi mediatici. E lascia di stucco che un giornalista del servizio pubblico (ma schierato che più schierati non si può) come Santoro organizzi manifestazioni di piazza «in difesa dei valori della magistratura», implicitamente ammettendo così che questi «valori» interessano oggi soprattutto a una certa parte politica.
Uno può pensarla come vuole sulla guerra tra Pdl e Lega da una parte e magistrati di sinistra dall'altra. Può anche condividere il parere del segretario dell'Anm Cascini che siamo di fronte a una «aggressione alla magistratura da parte di chi rifiuta il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge». Ma neanche le toghe più corporative possono negare alcune realtà che hanno fatto precipitare il prestigio della categoria, ancora al top quindici anni fa, nell'opinione degli italiani: l'accanimento con cui alcune di loro hanno perseguito, finora con scarsi risultati nonostante lo sproporzionato impiego di uomini e di mezzi, Silvio Berlusconi; la incapacità di accelerare, nonostante l'informatizzazione, i procedimenti giudiziari, con il risultato di far infuriare tutti coloro che vi sono coinvolti, di attirarci i fulmini della Corte di Giustizia europea e di costare allo Stato 81 milioni l'anno di soli indennizzi; la tendenza a interpretare in direzione spesso diversa dalle intenzioni del Parlamento le leggi della Repubblica, come sta avvenendo in questo momento con le sentenze riguardanti la possibilità di espellere gli immigrati clandestini. E l'elenco non finisce certamente qui.
Tutti coloro che vengono indagati o arrestati sogliono esprimere, per prima cosa, la loro piena fiducia nell'operato della magistratura. In molti casi, tuttavia, si tratta di una bugia. Purtroppo, la fiducia nell'operato della magistratura dipende oggi, in una certa misura, da chi sono i magistrati investiti del caso; i quali, forti della loro «non responsabilità», possono prendere (o non prendere) iniziative a dir poco discutibili.
Si tratta di una deriva abbastanza recente, dovuta in parte, credo, al senso di onnipotenza che ha dato alle toghe la stagione di mani pulite; ma si tratta di una deriva che in qualche modo bisogna arginare, come traspare anche dalle parole del PG della Cassazione.

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