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Caso Ruby, la vita privata del premier nel dibattito politico

Per formulare un giudizio equanime su quanto avviene in questi giorni in Italia bisogna muoversi su due piani distinti, uno morale e uno politico-giudiziario. Sul piano morale, non si può non rimanere sconcertati dalle rivelazioni su quanto - stando al racconto, peraltro forse un po' fantasioso, delle partecipanti - accadeva nelle serate di Arcore: a nessuno (e meno che meno ai suoi elettori cattolici) fa piacere apprendere della singolare abitudine del presidente del Consiglio di reclutare giovani donne per allietare le sue serate di uomo solo; e c'è da rabbrividire al pensiero del danno che i resoconti di queste feste, avidamente riportati, ampliati e resi ancora più sexy da una stampa straniera pregiudizialmente ostile, potranno fare alla reputazione dell'Italia. Ma, come ha scritto saggiamente Piero Ostellino sul Corriere della Sera, rimaniamo nella sfera privata, deplorevole finchè si vuole, ma sempre privata: e se guardiamo indietro nel tempo, non si contano i sovrani e gli uomini politici dai comportamenti sessuali anomali, senza che questo abbia loro impedito di svolgere i loro compiti ed occupare poi un posto di rilievo nella storia.
Se invece ci trasferiamo sul piano politico-giuridico, le domande si accavallano. 
1) È normale, frutto di pura coincidenza, o piuttosto chiaro indizio della volontà della Procura di Milano di portare un affondo mortale nella sua ormai quasi ventennale guerra contro Silvio Berlusconi, il fatto che il caso Ruby sia tornato a deflagrare proprio l'indomani della sentenza della Consulta contro la legge del legittimo impedimento?
2) La stessa Procura di Milano è davvero convinta di avere in mano prove sufficienti per condannare il Presidente del Consiglio in un processo per direttissima, o non si è lasciata tentare dall'intentargli anzitutto un processo mediatico, sufficiente a infangarlo e magari a fare vacillare il suo governo, favorendo così i progetti dell'opposizione? 
3) A tale proposito, come pensano i magistrati inquirenti di dimostrare che la famosa telefonata del premier alla Questura di Milano per ottenere l'affidamento di Ruby a Nicole Minetti configuri il reato di concussione, quando non ne esiste neppure una registrazione? E come si fa a sostenere con tanta certezza che i rapporti tra Berlusconi e la stessa Ruby si siano tradotti in «favoreggiamento della prostituzione minorile», quando l'interessata, nota mitomane, un giorno afferma di essere "andata" con lui e il giorno dopo lo nega, e non esistono nemmeno elementi per provare in giudizio che il presidente del Consiglio fosse al corrente della vera età della ragazza prima di cominciare a frequentarla? 
4) I pm milanesi non hanno travalicato i propri poteri, appropriandosi di una inchiesta su un presunto reato che comunque sarebbe stato consumato fuori della loro giurisdizione (la competenza per Arcore è del Tribunale di Monza?) 
5) Visto che l'obbligatorietà dell'azione penale, dietro cui i pm si trincerano, è in Italia più teorica che pratica, che cosa, se non la volontà di perseguire comunque il premier, li ha spinti a mobilitare un gigantesco apparato inquisitorio, che nel corso dei mesi deve essere costato milioni di Euro, per perseguire due reati tutto sommato minori rispetto a quelli che preoccupano la pubblica opinione? 
6) Si sono resi conto questi stessi pm che nella loro ansia di portare l'inchiesta a compimento in tempi brevi (e, direbbero i maligni, utili per la politica) hanno violato la privacy di decine di persone, la cui unica "colpa" era di frequentare la villa di Arcore, intercettandone le telefonate e condannandole poi senza alcuno scrupolo alla gogna mediatica? 
7) È davvero compito della Giustizia compiacere il malsano voyeurismo degli italiani, dando loro in pasto, prima ancora che sia avviato un qualsiasi iter processuale, particolari pruriginosi della vita del presidente del Consiglio senza nemmeno verificarne l'attendibilità?
Come si può vedere, ce n'è abbastanza per comprendere perché il premier si sia scagliato, una volta di più, contro i magistrati e resista imperterrito alle richieste di dimissioni che gli vengono rivolte dall'opposizione. Tuttavia, egli non può non rendersi conto che, ancora una volta, la Procura milanese lo ha colpito sotto la cintura; perché, a parte l'inevitabile danno alla sua reputazione, l'affare Ruby, con i relativi commenti del presidente della Repubblica e dell'episcopato, gli renderà più difficile trovare in Parlamento gli agganci indispensabili per portare a termine con profitto la legislatura. E comunque non si può che restare sgomenti dinanzi al fatto che la vita privata del premier continua a essere al centro del dibattito politico, che resta lontano dai problemi vitali di un Paese in crisi che ancora cerca la strada per una ripresa dell’economia.

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