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Scuola, non si trasformi l'opposizione in guerriglia

Disordini e guerriglia nelle piazze italiane. Ad accendere gli studenti la riforma dell’università proposta dal ministro Gelmini. Palermo non ha fatto eccezione. Cortei per la strada che hanno fatto impazzire il traffico. È aumentato il numero di mezzi in movimento assieme allo smog e al risentimento degli automobilisti verso le ragioni della protesta. Ci sono stati tafferugli con le forze dell’ordine e, per una quarantina di minuti sono stati occupati i binari della stazione. Tentativo analogo al porto. Chissà che colpe hanno viaggiatori e merci se, ad alcuni esaltati, non piace la riforma dell’università.
Perché al fondo c’è da chiedersi: ma davvero le novità della Gelmini sono così penalizzanti per i nostri atenei da meritare una mobilitazione tanto violenta? Magari no. Considerando, soprattutto, l’esistente. Che cosa vogliono difendere gli studenti che vanno in piazza? L’università dei baroni? Un’istruzione che, nelle classifiche internazionali dell’Ocse resta stabilmente agli ultimi posti?
Una scuola che, volendo difendere il diritto allo studio per tutti ha ricreato le condizioni per le peggiori diseguaglianze? I ragazzi che possono contare sul patrimonio di famiglia vanno a specializzarsi a Milano, a Parigi, a Londra. I più ricchi al prestigioso Mit di Boston (200 mila dollari di retta). Gli altri si devono accontentare della svalutata laurea nell'università della città che, fra l'altro, occupa gli ultimi posti anche nelle graduatorie nazionali. Risultato? Il master apre le porte a occupazioni ben retribuite. Gli altri si arrangiano. Il massimo grado dell'ingiustizia sociale. A questo sta portando l'università con tutti i diritti e nessun dovere. Certo le riforme quando le risorse, come in questo momento, scarseggiano sono difficili. Tuttavia se il disegno di legge dovesse naufragare non ci sarà ragione di esultare. Soprattutto perché verrà annullato quell'embrione di meritocrazia che la Gelmini vorrebbe innestare nel tronco asfittico dei nostri atenei. Merito nel reclutamento dei docenti scomparso da anni a favore del potere baronale dei docenti. Merito anche nell'assegnazione degli stipendi per tenere conto della capacità dei professori. I ricercatori che protestano per la loro precarizzazione quanti lavori producono in un anno? E quale valore scientifico? Dovrebbero essere i migliori gli unici a protestare: sono loro che vengono defraudati del diritto a uno stipendio migliore. Gli altri si limitano a scaldare la cattedra. Cara grazia che ricevono anche uno stipendio. Contro queste considerazioni di banale buon senso si è scatenata la guerriglia. Sia in strada che in Parlamento. Schermaglie di schieramento in vista del 14 dicembre quando dovrà essere votata la fiducia al governo? C'è una strana simmetria nella durezza dello scontro. Nel momento della massima tensione tra Berlusconi e Fini il provvedimento si blocca. Se il clima si distende il disegno di legge avanza. Ma è corretto questo atteggiamento? Certamente no. La riforma dell'Università non può diventare un alibi per battaglie di altro tipo. Se il testo non piace è giusto che sia respinto. Va spazzato via, però, il sospetto che la bocciatura sia legata non ai contenuti ma allo scontro politico in corso. Sia dentro la maggioranza sia fuori. Salire sui tetti serve solo a coccolare il ventre della piazza. Non certo a fare politica. La partita va giocata dentro le istituzioni. Non utilizzando cieche strumentalizzazioni.
Berlusconi ha indicato il terreno di gioco: giustizia, mezzogiorno, ripresa economica. Le forze di maggioranza e di opposizione si confrontino su questi temi. In Parlamento, però, non aizzando la piazza contro la povera Gelmini. Non si deve giocare con il futuro delle giovani generazioni per ragioni di bassa cucina politica. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità a viso aperto. Poi sarà quel che sarà. Se il governo avrà i voti andrà avanti. Altrimenti la parola tornerà al popolo. Come si conviene in una democrazia moderna.

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