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Afghanistan, le richieste di Karzai

Il "polverone della guerra". È una espressione moderna e antica, praticata nella storia dei conflitti umani. Di rado però appropriata come in questi giorni, in queste ore, a Kabul e dintorni. Entrambi i belligeranti dettano in Afghanistan bollettini di vittoria, contemporaneamente. Il mullah Omar, leader storico dei talebani (o chi per lui, vivo o morto che sia, sano o malato o - ci dicevano fino a ieri - esautorato, o magari uno dei suoi eredi o pretendenti) dice che sta vincendo, che "l'invasore è in fuga", o assediato, che la sua sconfitta è inevitabile e prossima. Profeta di una "guerra santa", lo proclama in concomitanza con il grande pellegrinaggio annuo alla Mecca.
Gli "invasori" siamo noi, l'Occidente, e ci prepariamo ad esprimere la nostra soddisfazione nell'imminente vertice di Lisbona della Nato, sigla e vessillo dell'alleanza che l'America di Bush riuscì a mettere insieme, or sono quasi dieci anni, per distruggere i talebani o almeno cacciarli dall'Afghanistan.
E proprio adesso il capo del regime più o meno democratico che si è riusciti ad installare a Kabul tratta alla luce del sole con esponenti talebani e offre loro un armistizio sostanzialmente ricalcato sulla formula della "paix des braves", la "pace dei coraggiosi" coniata cinquant'anni fa da Charles De Gaulle per mettere fine, certo non con una vittoria, alle guerre d'Algeria. E prega l'America e i suoi alleati di "alleggerire" la loro presenza militare. In particolare a desistere almeno parzialmente dagli attacchi aerei notturni che provocano "vittime civili".
"Non è desiderabile per il popolo afghano - spiega Hamid Karzai - avere centomila o più soldati stranieri in giro a tempo indeterminato" e consiglia di "tenerli confinati nelle loro basi" e cominciare presto a ritirarne. Ufficialmente è questa l'intenzione di Barack Obama, annunciata subito dopo la sua elezione. Il "ruolo di combattimento" delle truppe Usa dovrebbe cominciare a finire nel luglio 2011, cioè fra pochi mesi, anche o proprio perché gli obiettivi sono stati in linea di massima raggiunti e adesso si può lasciare.
Al governo afghano il compito di "gestire" la vittoria, la pace e la ricostruzione. Ci dovrebbe dunque essere concordia e invece la richiesta di Karzai ha suscitato vivo e aperto "disappunto" da parte del comandante in capo delle forze Usa, generale David Petraeus.
Egli si è detto "stupito e deluso" in una intervista alla Washington Post e ha avvertito che accedere alla richiesta significherebbe mettere in pericolo i risultati finora ottenuti e rendere "insostenibile" la sua posizione. Petraeus ha definito i raid notturni il "cuore" della sua strategia antiguerriglia e ha avvertito che la "missione di combattimento" delle truppe americane non potrà comunque esaurirsi prima del 2014. E anche allora dovranno rimanere decine di migliaia di soldati della Nato per "assistere" l'esercito afghano, che difficilmente sarebbe pronto per quell'epoca ad assumere il suo compito di autodifesa.
Petraeus ha dunque in mente per l'Afghanistan uno sviluppo simile a quello avviato con successo in Irak, ma con tempi più lunghi, in riconoscimento delle maggiori difficoltà che si incontrano. Considerazioni difficilmente contestabili alla luce sia dell'andamento delle operazioni (alle offensive alleate si alternano le controffensiva dei talebani), sia delle esperienze storiche delle guerre in Afghanistan, ultima delle quali quella rovinosa dell'Unione Sovietica.
Non è il primo battibecco tra Karzai e gli americani, ma è il più scoperto e inopportuno come tempi; tanto è vero che il mullah Omar ne ha approfittato per lanciare il proprio bollettino di vittoria.La palla è dunque rimbalzata verso Obama, che non aveva proprio bisogno di una nuova crisi a Kabul nel momento in cui gli sarebbe più utile un po' di "bonaccia", mentre la sua posizione è scossa dalla sconfitta elettorale e dalle accresciute difficoltà di portare avanti una strategia di fronte a una Camera dominata dai repubblicani e dalla loro apparente decisione di rendere la vita sempre più difficile al presidente. Anche attorno alla Casa Bianca si è levato un denso polverone.

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