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I mille nodi dell'immigrazione

L’Europa, da circa venti anni, è la meta agognata da centinaia di migliaia di extracomunitari che dal Nord Africa approdano sulle nostre coste per poi raggiungere gli Stati Uniti o il resto dell'Europa, nella speranza di un avvenire migliore. Fuggono da condizioni di vita disumane, dalla fame, da persecuzioni politiche e razziali. Negli ultimi anni, alla considerevole massa d' immigrati dall'Albania e dal Nord Africa, si sono aggiunti anche altri provenienti dall'Est e dalla Cina. Da una nazione caratterizzata, nei primi del Novecento, da una forte emigrazione verso le Americhe, il nostro Paese si è trasformato negli anni '70 in terra di forte immigrazione. Il fenomeno iniziò con il crollo del muro di Berlino che provocò lo sgretolamento dell'impero sovietico e dei paesi satelliti aderenti al Patto di Varsavia. I porti pugliesi di Brindisi e di Bari, nell'89, furono raggiunti da numerose carrette del mare, navi così definite per le precarie condizioni di allestimento, che trasportarono più di trentamila albanesi in fuga dalla loro terra e dalla miseria, attratti anche dalle immagini di condizioni di vita migliori trasmesse dai programmi della televisione italiana, molto seguita in Albania. Non eravamo preparati ad assorbire una così grande massa di rifugiati che, in pochi giorni, gremirono le città della costa pugliese, diffondendosi, successivamente, in tutta la penisola, fino a generare una situazione difficile da gestire. Si dovette provvedere alla loro sistemazione in centri di prima accoglienza e, in un secondo tempo, nelle caserme dell'Esercito, dismesse nel Nord-Est dalla caduta della minaccia sovietica. Venne istituito il ministero della Immigrazione e degli Italiani all'estero e la consulenza per la pianificazione e la ridistribuzione sul territorio nazionale dei trentamila albanesi approdati in Puglia fu affidata ad ufficiali dell'Arma dei carabinieri.
Un lavoro duro che, tra mille difficoltà, dette i suoi frutti. La maggior parte degli albanesi, oggi, si è perfettamente integrata nella nostra società, come si sono ben inseriti numerosi immigrati provenienti dall'Est, dal Nord Africa, dalle Filippine e dalla Cina, contribuendo alla crescita industriale e al sistema contributivo e pensionistico del Paese, specialmente nel Nord-Est. Per la prima volta si è anche avuto un'inversione di tendenza della diminuzione delle nascite che, fino pochi anni fa, era decisamente attestata allo zero. Fin qui gli aspetti positivi, ma l'immigrazione clandestina e il lavoro nero sono ancora una dura realtà da combattere. Il Mediterraneo è tuttora solcato dalle barche della disperazione, dirette sulle nostre coste di Lampedusa e della Calabria malgrado gli accordi con la Libia. Anche se il numero degli sbarchi è sensibilmente diminuito, l'emorragia non è stata ancora arrestata. L'Istat, a tal proposito, ha fatto presente che dal 2004 ad oggi la popolazione straniera in Italia è aumentata del 151%, passando da 1.549.373 a 3.891.295 unità. In tale quadro, il sommerso, purtroppo, rimane una piaga nazionale, come ha segnalato il 22° Rapporto Italia dell'Eurispes. I lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno primeggiano nell'agricoltura con il 24,2%, specialmente nel sud del Paese. Il fenomeno non risparmia anche il lavoro femminile malgrado vi sia una crescente domanda di badanti, dovuta all'invecchiamento della nostra popolazione per un tasso minore della mortalità, alla quale però non corrisponde una riduzione delle lavoratrici clandestine.
L'Irs (l'Istituto per la Ricerca Sociale) nel 2008 ha stimato la presenza di 774.000 cosiddette «assistenti familiari», di cui 700.000 straniere e di queste ben il 43% clandestine (circa 300.000), a fronte del 24% che invece è priva del solo contratto di lavoro. In agricoltura le cose non vanno meglio: i fatti di Rosarno (Calabria), dello scorso anno, a detta dell'Eurispes, dimostrano il meccanismo perverso dell'immigrazione clandestina e del lavoro nero nelle campagne del sud. Ben 2.500 stranieri, sfruttati dalla 'ndrangheta per la raccolta delle arance, si ribellarono per il ferimento di due giovani braccianti di colore, ad opera di altri ragazzi del luogo. La ribellione - perché di ribellione si trattò - degenerò in gravi disordini che si estesero al centro cittadino. Alla base dei disordini vi erano le pessime condizioni di vita alle quali erano costretti, dal caporalato, a vivere gli stranieri senza contratto e permesso di soggiorno. Gli immigrati furono in fretta trasferiti altrove per evitare altri disordini, ma il problema del sommerso è tuttora non risolto. Anche nelle città del centro-meridione è presente l'immigrazione clandestina e i lavoratori stranieri, in alcuni casi, sono costretti a lavorare sotto il ricatto del permesso di soggiorno. A Roma, ad esempio, il sesto Rapporto dell'Osservatorio Romano sulle Migrazioni fornisce un quadro preciso del fenomeno immigratorio che riguarda le più disparate provenienze (si parla di ben 190 paesi) con alte punte della clandestinità per la mancanza del permesso di soggiorno e di un regolare contratto di lavoro. Alcuni dati ci fanno capire la complessità del problema e le difficoltà per risolverlo: Il 1° gennaio dello scorso anno, nei 12 comuni della Provincia di Roma, i cittadini stranieri residenti erano 366.360 su 4.110.035, pari quindi all'8,9% della popolazione. Alta la presenza femminile, arrivata al 53,8% su una media nazionale di 50,8%. Nello stesso periodo, la popolazione straniera nella capitale era salita a 293.948. In dieci anni in pratica, gli stranieri sono raddoppiati, passando dal 4,98% nel 1998 al 10,3% del 2009. Le provenienze, in prevalenza, erano e sono euro-asiatici (Europa 45,1%, Asia 27,1%, Africa 14,0%, America 12,9%) e rumeni, che sono aumentati di ben 15.543 unità, incidendo per il 19,6% sulla presenza straniera nel Lazio.
Le problematiche sociali sono molteplici e di non facile soluzione. Da una parte assistiamo a un sensibile aumento della richiesta di sicurezza a causa di una criminalità sempre più aggressiva, dall'altra parte gli immigrati sono a volte vittime di atteggiamenti xenofobi e sfruttati da datori di lavoro senza molti scrupoli. Gli italiani, in pratica, sono divisi tra coloro che sono favorevoli agli stranieri lavoratori e altri che sono contrari perché preoccupati dal peggiorare delle condizioni di sicurezza ed invocano un maggiore controllo del territorio, anche ricorrendo alle ronde cittadine. Molti sostengono che interi quartieri delle nostre città «sano stati conquistati» da cinesi e nordafricani senza sparare un colpo di fucile. Ma l'analisi attenta del problema evidenzia che non è vero che la criminalità comune e organizzata sia aumentata a causa della immigrazione. E' vero in molti casi il contrario perché grazie agli immigrati tante attività, quali la collaborazione domestica, l'assistenza agli anziani, il lavoro nelle campagne, nella ristorazione e anche nella industria, continuano ad essere assicurate esclusivamente da mano d'opera straniera. Nella sola Provincia di Roma gli occupati sono attualmente 1.750.000, rispetto l'anno precedente ventiduemila in più grazie proprio alla immigrazione (18.000 unità). Il problema rimane il lavoro nero che sottrae al Paese risorse economiche e sicurezza, negando agli immigrati diritti e tutele. La clandestinità è ancora fortemente presente nelle campagne e nelle città sempre più diventate globali, come Roma e Milano, vere metropoli, dove però nelle famiglie, nei ristoranti, nei cantieri lavorano cittadini stranieri, in alcuni casi clandestini, che continuano a sognare un lavoro e una vita migliore, nella legalità.

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