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Quanto provincialismo nel dibattito Fiat

Il ciclone Marchionne fa ancora parlare, anzi le reazioni all'intervista televisiva dell'ad della Fiat sembrano diventate meno astiose, a parte quelle di sindacalisti come Guglielmo Epifani, di qualche politico (come Gianfranco Fini e Umberto Bossi) e di qualche imprenditore non "amico". Nel complesso però le provocazioni dell'uomo col maglioncino sono state salutari perché hanno rilanciato, sia pure in modo brusco, i problemi della competitività della Fiat ma anche del sistema paese. Anche il dibattito in corso mette in luce il livello di provincialismo, di povertà di argomenti di tanti interlocutori, politici, sindacalisti e imprenditori. Condividiamo, con il ministro Sandro Bondi, l'affermazione: «Ignorare o peggio polemizzare con Marchionne significa far finta che i problemi non ci siano e che tutto possa continuare come nel passato. Se l'Italia avesse ancora una classe dirigente degna di questo nome ,si interrogherebbe a fondo sulle sue affermazioni». Anche un altro ministro (che insegna economia), Renato Brunetta ha sottolineato l'importanza delle provocazioni dell'amministratore delegato di Fabbrica Italia che va presa sul serio, «l'importante è avere una strategia», che riguarda anche il management interno. Il problema vero è che, invece di rispondere seriamente alle questioni,grandi come un macigno, di Marchionne, la maggior parte degli interlocutori ha scelto risposte piccate, anche offensive, oppure ha imitato «la scelta dello struzzo», ignorando o fingendo di non capire.
Eppure tutti sanno (lo ha riconosciuto anche Emma Marcegaglia) che la produttività del sistema Italia è andata sempre più indebolendosi e non soltanto per le relazioni industriali anchilosate da norme di legge e contrattuali, rigide e obsolete. Anche per altre ragioni: la tassazione elevatissima, rispetto agli altri paesi europei (quella sulle imprese è più alta di quella tedesca), l'eccesso di leggi e normative,i costi della bulimia burocratica, l'elevata bolletta energetica (su cui pesa il mancato rilancio del nucleare), le forti carenze nelle infrastrutture, nella formazione e nella ricerca. Si tratta di recuperare ritardi ormai storici. E tutte le parti sociali dovrebbero partecipare a un confronto aperto perché "le verità scomode", come afferma ora anche Romano Prodi,non si possono ignorare o demonizzare. Si devono affrontare con coraggio e decisione,senza ideologismi e senza strumentalizzare per meri interessi politici (ed elettorali) problemi di grande interesse per il superamento della crisi del nostro paese. Forse si potrebbe "aiutare" Sergio Marchionne,invece di insultarlo,cominciando col chiedergli (la domanda che Fabio Fazio, con i due milioni di compenso annuo, non ha saputo fare): come intende investire 20 miliardi di euro in Italia? Se escludiamo i 700 milioni previsti per Pomigliano ne rimangono 19,3 miliardi. Vogliamo riprendere da qui la discussione?

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