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Il genocidio cambogiano visto da Peter Froberg Idling

Il racconto amaro di uno scrittore e giornalista svedese della tragedia che investì quasi due milioni di persone, un quinto della popolazione, ad opera dei khmer rossi di Pol Pot

Quello che vi raccontiamo è la storia di un abbaglio, politico e umano, sullo sfondo di una grande tragedia, costituita dal genocidio di quasi due milioni di persone in Cambogia, un quinto della popolazione, ad opera dei khmer rossi di Pol Pot. La racconta con amarezza uno scrittore e giornalista svedese, Peter Froberg Idling, nel libro «Il sorriso di Pol Pot» - Iperborea. In che consiste l'abbaglio? Il 12 agosto 1978 una delegazione svedese,guidata da un autorevole intellettuale, Jan Myrdal (figlio dei premi Nobel Alva e Gunnar Myrdal), arriva a Phnom Penh per «visitare» la Cambogia e verificare se i diritti umani venivano rispettati.
Gli osservatori non si accorsero di nulla, percorrendo ben mille chilometri. Eppure gli eccidi erano in corso e forse, se fossero stati denunciati in tempo, molte vite umane si sarebbero salvate. Invece quegli «acuti» osservatori, rientrati in patria, hanno rilasciato molte interviste entusiaste sulla rivoluzione dei khmer rossi, «un modello per le democrazie europee». L'autore indignato, rifà lo stesso viaggio per fa luce su questo assurdo abbaglio, facendo parlare i sopravvissuti e attingendo a una montagna di testimonianze, immagini e giornali dell'epoca. Ne è emerso un documento storico di grande importanza politica. Rimane però inevasa la domanda che la gente comune cambogiana faceva all'autore: «perche ci uccidevano?». Rimane senza risposta anche un'altra domanda: come è stato possibile l'abbaglio svedese? L'unica spiegazione possibile è quella del pregiudizio ideologico. Del resto, chi non si ricorda quando i militanti comunisti di base andavano, con viaggi organizzati dal Pci e dalle organizzazioni vicine, in Urss? Quasi sempre quei «turisti» tornavano entusiasti del «paradiso socialista». Eppure conosciamo bene la sofferenza delle popolazioni di quel regime comunista e tutti gli orrori (privazioni della libertà, i gulag, gli eccidi...).
Un libro di un diplomatico, Domenico Vecchioni («Tiranni e dittatori», Editoriale Olimpia), fa luce sul secolo dei totalitarismi. In particolare l'autore tratteggia i profili dei dittatori e despoti di diverso colore politico: parte proprio dallo «sterminatore» Pol Pot per proseguire con Bokassa, l'ammiratore nero ammiratore di Napoleone; Mswati III, re dello Swaziland; Sekou Tourè, «assassino di massa»; Imelda e Ferdinand Marcos, «ovvero del sistematico saccheggio delle casse statali»; Rafael Trujillo, dittatore-affarista; i dittatori Elena e Nicolau Ceausesco; la monarchia comunista del «paradiso radioso» della Corea del Nord; Papà Doc; Fidel Castro, Muamar Gheddafi e Than Shwe, «il dittatore invisibile» del Myanmar. Un libro di grande interesse, per le curiosità che suscita e per i deliri e i crimini che ricorda o rivela. Anche perché, in diversi casi, ne è stato testimone.
Ma c'è un'altra testimonianza, più drammatica, raccolta in un libro: quella di Jasvinder Sanghera («Il sentiero dei sogni luminosi», Piemme). L'autrice è nata in Inghilterra; a 15 anni i genitori hanno cercato di obbligarla a sposare un uomo molto più anziano, che l'avrebbe portata in India, ha trovato il coraggio di ribellarsi, con mille difficoltà e pericoli anche per la sua vita. Ora ha fondato «Karma Nirvana», un'associazione che aiuta le donne vittime di violenza famigliare e le ragazze costrette ai matrimoni forzati. Quella de «Il sentiero» è la storia di Jasvinder, ma, purtroppo è simile a quella di altre migliaia di bambine e ragazze asiatiche e africane.
Infine,segnaliamo la storia di una giovane vittima, che ha assunto nel tempo, un grande valore simbolico della sofferenza, della persecuzione e del genocidio: Frediano Sessi, «Il mio nome è Anne Frank» (Einaudi). È un libro, spero, destinato agli studenti per l'attualità della lezione di Anna. L'autore racconta la vicenda di questa ragazzina; ne ricostruisce la vita quotidiana durante la clandestinità, il viaggio verso il lager di Auschwitz e gli ultimi giorni nel campo di Bergen-Belsen. Freddi, da anni uno studioso impegnato nel campo dei diritti umani, ha curato il «Diario» di Anne. In questo ritratto mette particolarmente in luce gli aspetti umani della giovane scrittrice e ne rivela la sua vocazione, che è appunto quella di scrivere. Del resto aveva già cominciato raccontando in modo crudo, diretto, l'orrore della persecuzione antisemita.
Ancora una rapida segnalazione: «Le crisi umanitarie dimenticate dai media 2009» (Marsilio). Si tratta di un rapporto dei Medici senza frontiere, con una ricerca dell'Osservatorio di Pavia e i commenti di un gruppo di esperti sui media. Da questa provocatoria top ten i tg non ne escono bene. Viene confermato che i media trascurano o ignorano le gravi crisi umanitarie. Non ne siamo, ovviamente, contenti ma, purtroppo questi dati non ci sorprendono. Per niente.

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