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Mafia e appalti, un anti-Stato iperattivo e invasivo

La cronaca non ci dà requie, quotidianamente ci insegue e ci invita a riflettere. Magari con amarezza. A Palermo molte cose accadono che ci indicano un anti-Stato iperattivo e invasivo. Un’inchiesta appena iniziata ipotizza che un politico eletto nell'assemblea regionale faccia da prestanome a mafiosi. Gli sviluppi di un processo, già giunto al secondo grado, fanno pensare a collusioni retribuite fra uomini dei clan e politici locali. Storie di mazzette e di appalti, di commistione fra le realizzazioni pubbliche e gli interessi di pochi privati al di fuori della legge.
Quali che siano lo sviluppo e la conclusione delle procedure giudiziarie, un elemento appare certo: la connessione, anzi la collusione, fra mafia e politica è ancora viva e operante e segna la vita di molte istituzioni dell'isola. La mafia e altre forme di criminalità organizzata segnano tutte le zone del Paese, dal Sud al Nord, ma nelle zone di radicamento storico hanno forse una maggiore capacità di infiltrare le libere (fino a che punto?) istituzioni ed organismi elettivi.
In certe aree dell'Isola è relativamente più facile orchestrare l'elezione di personaggi ricattabili o semplicemente vicini alle cosche.
Politica e mafia, dunque, hanno tanti, troppi punti di contatto. Il problema, storicamente consolidato, non può essere risolto dagli uomini della legge, che si muovono nell'ambito di un codice che rispetta i diritti e le libertà dei cittadini, anche dei criminali.
Non è soltanto con la forza della legge, pure imponente in uno stato moderno, che si potrà risolvere la questione. È necessario che oltre ai cittadini, soprattutto i partiti facciano la loro parte cercando di eliminare gli uomini più fragili e sensibili agli allettamenti e alle intimidazioni della criminalità organizzata.
Il Giornale di Sicilia da tempo sostiene che le forze politiche si diano una rigorosa autoregolamentazione per escludere dalle liste i candidati condannati o chiacchierati. Non sarebbe, questa, un'ostentazione inutile del "politicamente corretto", dei temi dell'antimafia si può anche abusare per interessi politici di bottega; si tratterebbe, piuttosto, di un'azione concreta per rendere più trasparente la competizione politica e il riavvicinamento dei cittadini alla vita degli enti territoriali di governo.
Nel sistema democratico le decisioni vengono dal basso - una testa un voto - ma spetta ai partiti scremare e indirizzare, nei limiti della dialettica pluralistica, le pulsioni popolari, specie quando si tratta di scegliere i candidati ad essere portatori della volontà e degli interessi del popolo sovrano.
È una vecchia questione, la capacità di infiltrazione del crimine organizzato nei meccanismi della rappresentanza popolare è ben nota e riconosciuta. Sta ai vertici dei partiti fare muro perché certe vecchie pratiche muoiano, o si riducano a proporzioni marginali tali da non compromettere in maniera significativa il gioco democratico.
La questione non è nuova, dai partiti, dai dirigenti regionali fino ai referenti nazionali, si attende uno scatto di reni, una sorta di rivoluzione che non diano spazio agli uomini dell'anti-Stato consentendogli di inserirsi proprio nei gangli dello Stato.
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