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Università, quel suicidio che deve scuoterci

La morte tragica di Norman Zarcone, il dottorando di ricerca della facoltà di Lettere che ha scelto di porre fine alla sua vita a soli 27 anni, è un episodio che merita un'attenzione che va oltre le note di cronaca, le polemiche e le partecipazioni di circostanza.
Per onorare la memoria di un giovane - che, pur tra inevitabili e comprensibili difficoltà, continuava a credere nello studio - è opportuno, a mio sommesso avviso, avviare una prima riflessione collettiva, a qualche giorno di distanza dall'acuzie della tragedia.
Il padre Claudio - il cui dolore ho voluto finora rispettare con doveroso silenzio - ha puntato il dito contro il "sistema baronale" e la mancanza di prospettive dell'Università italiana per spiegare la terribile scelta del figlio. Le sue parole non vanno eluse e meritano conseguenti interrogativi e coerenti risposte perché la morte del figlio non sia l'inutile spreco di un talento, l'ennesima perdita di una giovane vita o, più amaramente, soltanto l'occasione per rappresentazioni mediatiche che a più d'uno tornano utili per accedere al bagno salvifico della collettiva indignazione di circostanza.
Onestamente non so dire se l'ultima e più drammatica scelta di Norman sia da imputare tutta intera agli ostacoli, oggi sempre maggiori, connessi alla ricerca di una collocazione accademica né se ad essa abbiano concorso altre personali circostanze, a noi ignote, che possono avere ulteriormente alimentato individuali sensazioni di delusione, impotenza, fallimento. I profondi misteri della mente impongono silenzio e rispetto nel momento in cui lo smarrimento di una fase della vita attrae inesorabilmente verso le insondabili porte del buio. In ogni caso, valutazioni e considerazioni devono essere riservate alla famiglia: se ne sarò autorizzato, confido di incontrarla privatamente e riservatamente, lontano dagli avidi taccuini della cronaca.
Certo è che l'estremo gesto del giovane dottorando di Lettere, abituato dagli studi filosofici a cercare risposte ai profondi e inquietanti temi dell'esistenza, oltrepassa la dimensione individuale, per quanto tragica ed inevitabilmente accompagnata da un'alea di imponderabilità, ed assume il valore di ammonimento universale per ricordare a tutti i valori etici e comportamentali ai quali deve essere ispirato il dialogo generazionale. In questo senso siamo convinti che l'Ateneo ne debba onorare il ricordo e la memoria.
Non mi sono ignoti i vizi, di metodo e di sostanza, insiti nel sistema universitario e per tale motivo, convinto di un indifferibile processo di autoriforma, l'Ateneo di Palermo sta volitivamente percorrendo un difficile itinerario nel segno della trasparenza, dell'avvicinamento alle esigenze degli studenti, della razionalizzazione dell'offerta formativa e del rigore gestionale per inaugurare una nuova e più feconda stagione di opportunità vere e di equilibrato esercizio dei diritti e dei doveri da parte di docenti e discenti.
I giovani chiedono ascolto e speranza: da educatori, abbiamo il dovere di assicurare loro l'una e l'altra, ancorché stretti da un generale stato di crisi che allontana certezze e mortifica aspettative, anche legittime. Più che mai adesso è necessario che le scelte e i comportamenti della classe dirigente siano chiari, inequivoci, coerenti perché possano essere compresi e possibilmente accettati. Ma se vogliamo coltivare la speranza di futuro dei nostri giovani, non serve condannare pregiudizialmente le istituzioni, finendo peraltro nella logica del "tutti colpevole, nessun colpevole". Ho la massima considerazione nei confronti di chi denuncia ingiustizie e soprusi: mi permetto di osservare che essi vanno, volta per volta, documentati, accertati, ricondotti ad equilibrate ed obiettive valutazioni prima di proporre inappellabili giudizi di condanna.
Occorre testimoniare quotidianamente impegno di lavoro e coerente volontà, agendo per cambiare chi e ciò che non funziona, così nell'Università come in altri settori critici e sensibili per la vita della comunità. Credo infatti che la questione sia più ampia e non riguardi soltanto l'Università, che è parte della società, ne è specchio e che non può migliorare e crescere se non in un sistema di vasi comunicanti con il territorio di cui fa parte. Solo così potremo farcela: tutti insieme, nel ricordo di Norman.
* rettore dell'Università di Palermo

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