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Debito pubblico, i Paesi Ue stringono la cinghia

Mentre la nuova legislazione Usa sui mercati finanziari sta ricevendo una compiuta definizione con i regolamenti attuativi, anche l'Europa sembra incamminarsi lungo un simile percorso, nonostante le decisioni contrastate e parziali assunte ieri dall’Ecofin. In breve è stato previsto un nuovo sistema di vigilanza apparentemente più efficace sul debito pubblico e il deficit dei singoli paesi e sono state istituite tre autorità consultive, per la verità assai pletoriche, che avranno il compito di monitorare (si spera con congruo anticipo) i rischi sistemici, quelli bancari e assicurativi.
Nulla invece è stato deciso, come d'abitudine, sul nocciolo duro dei motori della crisi finanziaria in materia di operazioni speculative. Come al solito il motivo principale è stato la mancanza di una concorde visione delle soluzioni possibili che avrebbe potuto comportare l'adozione parziale di iniziative regolatorie e la conseguente fuga di capitali dai paesi più "cattivi" a quelli più tolleranti.
Come accade ormai da due anni senza eccezioni, anche questa volta quella dell'Ecofin non è stata una riunione tranquilla nonostante le edulcorate previsioni su un roseo futuro da parte di alcuni partecipanti, come il nostro ministro dell'Economia.
Sullo sfondo della riunione il termometro della febbre segnalava e segnala nel momento in cui scrivo un sensibile aumento di temperatura del debito greco con una forte salita del costo dei Cds. Nondimeno questo indicatore, che rivela il costo di assicurazione contro il "default" (in questo caso) del debito sovrano stà crescendo per gli altri paesi Pigs, Portogallo, Irlanda e Spagna, a dimostrazione del fatto che i mercati credono assai poco alle chiusure di stabilizzazione e rientro recentemente assunte dai governi di questi paesi.
Come spesso accade nel gioco delle scatole cinesi, da un evento può nascerne un secondo con conseguenze più gravi e durature. Il debito sovrano a rischio di "default" è nella pancia di molte grandi banche europee, specie francesi e tedesche. Queste banche non hanno ancora integralmente rimosso la spazzatura dei titoli associati alla bolla immobiliare del 2008 e sono chiamate ora a rispondere rapidamente ai nuovi e più rigorosi parametri di capitalizzazione di Basilea 3. Il rischio è che dovranno chiamare i propri azionisti a mettere soldi freschi con il duplice effetto di penalizzare la finanza pubblica, (quando gli azionisti sono gli Stati) e di ridurre il credito verso le imprese. Si conferma lo scenario contraddittorio di un economia mondiale a due facce: quella europea sembra diventare il «cul de sac» dell'ultima fase della crisi finanziaria internazionale; quella dei paesi emergenti evidenzia una crescita del Pil a due cifre trainata, a differenza che in passato, anche da una forte dinamica della domanda interna. In Italia si parla di elezioni.
Dal momento che questo Paese non è più in grado di fare nulla se non di assistere impotente al proprio declino, non so se sia il caso di augurarsi che tutto avvenga come nel calcio. Si deve arrivare alla vergogna per rimettere fuori la testa e cambiare le cose. L'augurio potrebbe essere temerario: che cosa accadrebbe se nella paralisi politica i mercati prendessero d'assalto il nostro debito pubblico?

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