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Bocchino e la doppia obbedienza

La colpa è di Berlusconi e della Sicilia. Non era mai successo, infatti, nella storia repubblicana che gli iscritti a un partito si dividessero in due gruppi parlamentari. Perciò il vostro cronista, nella sua conclamata ingenuità, non aveva capito a che titolo i probiviri del Pdl possano giudicare alcuni esponenti del Fli e come mai gli amici di Fini aderenti al gruppo Fli siano al tempo stesso membri del PdL. La spiegazione sta in Berlusconi e nella incredibile situazione siciliana. Il Cavaliere, si sa, ha l'animo tenero. Vuole un gran bene a Gianfranco Miccichè e gli ha perdonato la nascita di un PdL Sicilia diviso dal PdL nazionale e nemico delle sue derivazioni siciliane che fanno capo a Renato Schifani e ad Angelino Alfano. Fino a quando la situazione siciliana non sarà risolta (e potrebbe esserlo abbastanza presto, per salvare la decenza), Berlusconi non potrà dire nulla sulla doppia obbedienza di Italo Bocchino e degli altri amici di Fini. È anche possibile che la famosa riunione dei probiviri che dovrebbe giudicarne tre venga rinviata o che s'esaurisca in un buffetto.
La vera linea del Piave sta nella costituzione di un partito autonomo. E lì non ci sarebbe da espellere nessuno perché i transfughi se ne sarebbero andati sbattendo la porta. Ma questa ipotesi avrebbe un senso soltanto in caso di elezioni anticipate, quando Fini in persona dovrebbe cavalcare la sua nuova creatura. Oggi è troppo presto e gli amici del presidente della Camera staranno bene attenti a non creare l'occasione di un incidente. Al contrario di quanto si è detto, nemmeno il presidente del Consiglio vuole lo «sparo di Sarajevo». Al punto che perfino sul «processo breve» - suprema prova di fedeltà alla quale saranno chiamati i finiani - dal PdL potrebbe arrivare una qualche proposta di compromesso. Al tempo stesso, sarà più difficile a Berlusconi impedire che vada avanti la richiesta di chiarimento avanzata da La Russa che - rassegnato alla doppia obbedienza dei finiani - non ne accetta la presenza al vertice di organi direttivi di partito (il caso di Raisi a Bologna viene giudicato inaccettabile : è coordinatore del PdL, ma ha costituito un gruppo Fli anche alla provincia). Nel giro di un paio di mesi - e forse anche prima - tutto sarà più chiaro. La linea è di andare avanti con un programma robusto: il Paese vuole e deve essere governato e gli elettori del PdL sono sconcertati per lo spettacolo di questa estate. Berlusconi è convinto che questa sia la strada migliore per rendere più solida la maggioranza: non ha rinunciato al ritorno di qualche finiano e soprattutto alla convergenza dell'Udc su provvedimenti significativi.
Oggi Berlusconi non vuole la crisi perché - al contrario di Bossi e di Tremonti - non è affatto convinto che il capo dello Stato concederebbe le elezioni. Teme che Napolitano trovi in Parlamento una maggioranza per un governo di transizione che modifichi la legge elettorale e lo porti al voto indebolito e spiazzato. La sua preoccupazione in questo campo è di lungo periodo. Quel che non è accaduto oggi - con Fini in mezzo al guado e con la vicenda di Montecarlo che non ha entusiasmato i suoi elettori - potrebbe accadere domani, quando tutti i suoi avversari potrebbero essere più forti. A quel punto anche Casini sarebbe interessato a una maggioranza che faccia una legge elettorale contraria al bipolarismo per dare forza al terzo polo e farne l'arbitro della situazione. Ricordate i due forni di Andreotti?
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