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Il Corno d'Africa e il terrorismo dilagante

Il Corno d'Africa, la regione più infetta di tutto il continente e tra le più infette del mondo dal cancro del terrorismo, ha offerto ancora una volta la rappresentazione tragica della sua instabilità. Con l'attentato di Mogadiscio, scenario ideale di Al Qaeda, in cui si lamentano decine di deputati e di civili uccisi, i militanti islamici hanno voluto superare se stessi nel bestiale primato della gara a chi ne ammazza di più.
Prima di questa, l'ultima impresa la banda dei cosidetti Giovani Mujaidin (Al Shabab) l'ha condotta qualche settimana fa a Kampala in Uganda, dove le bombe avevano fatto strage di gente che assisteva sul grande schermo tv ad una partita dei Mondiali di calcio: 76 morti senza sapere perché.
Non lo sapeva forse neppure Al Shabab, che fa parte del pulviscolo di gruppi armati agli ordini della centrale di Al Qaeda e stanno riscuotendo ampio successo nell'attuazione del programma eversivo volto a creare in Somalia un regime di tipo talebano.
La forza di penetrazione dell'islamismo sanguinario nell'est africano, soprattutto in Somalia, è legata a filo doppio con la situazione caotica del Paese: in cui nessuno e tutti governano, le milizie spadroneggiano, il sedicente governo centrale controlla sì e no un paio di quartieri di Mogadiscio, gli altri appartengono alle bande islamiche e ai signori della guerra. Nel resto del paese è in corso da venti anni un endemico, cruento conflitto tra tribù, etnie, milizie guidate da notabili o da malfattori o da radicali musulmani.
Almeno un milione di somali sono morti o negli scontri tra fazioni o abbattuti dalle carestie. Altri 3-4 milioni dipendono dagli aiuti internazionali, che sono insufficienti, così come insufficiente la presenza di volontari delle organizzazioni umanitarie.
Infatti è contro i volontari, perlopiù europei, che Al Shabab scatena i suoi miliziani. Nei volontari vede un ostacolo alla realizzazione dei suoi piani e ne elimina quanti può: sino ad oggi sono una ventina i cooperanti assassinati. Nessuno garantisce la sicurezza di questi eroi sconosciuti e già molti gruppi hanno lasciato la Somalia.
In questo clima assurdo, ove l'Occidente ha fallito e porta una grave responsabilità, si dipartono i tentacoli dell'integralismo verso la conquista dell'Africa.
Esaminandone la genesi, scopriamo contraddizioni sbalorditive: come quella dell'Arabia Saudita che, per diffondere il Corano, dispensa miliardi di dollari nella costruzione di moschee, di scuole, di ambulatori che servono poi ad Al Qaeda, nemico nunero uno dei sauditi, per la sua opera di proselitismo e di terrore. Se l'Occidente è distratto, gli Stati africani sembrano limitarsi alle parole e a pochi fatti.
In una riunione recente i capi dell'Unione Africana si son detti pronti a combattere il flagello del terrorismo e assicurano di voler rafforzare i reparti attualmente in Somalia: che sono composti tuttora di 6 mila uomini (diconsi seimila, un numero irrisorio) che ieri si sono scontrati con Al Shabab nelle vie di Mogadiscio. Dal canto suo gli Occidentali promettono svogliatamente di fornire un po' di elicotteri e il Sudafrica un appoggio navale per bloccare il porto di Kisimayo che è la porta di ingresso delle armi, delle munizioni e dei combattenti dallo Yemen e dal Pakistan. Ma è tutto un inutile déja vu: discorsi vecchi, impegni presi, ribaditi mille volte e mai mantenuti. Frattanto la cancrena avanza sotto i nostri occhi indifferenti.
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