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Giaccone, un gentiluomo borghese che non tradì la sue etica

Un medico onesto. Un docente di medicina legale - gentiluomo borghese, mite, integerrimo e preparato - che non volle tradire la sua etica professionale. Un professionista normale che divenne eroe per compiere il suo dovere. Egli venne ucciso dalla mafia in quanto tenace e concreto assertore della legalità, coerente nella fedeltà dei valori e nel rifiuto dei compromessi. In una delle tragiche estati di piombo di Palermo scattò l'agguato mortale contro il professore Paolo Giaccone. Erano le 8,10 di mattina dell'11 agosto 1982: il docente era sceso dalla Peugeot di proprietà personale, davanti al suo Istituto del Policlinico. Tre killer lo assalirono con un fuoco incrociato. La vittima morì sul colpo, ucciso da 5 pallottole. «Un delitto tanto più esecrando in quanto in pregiudizio di una persona integra e retta», riportava il rapporto giudiziario della Squadra Mobile.
Giaccone non aveva voluto modificare, malgrado avvertimenti e minacce, una perizia balistica nella quale un'impronta inchiodava l'autore di quattro omicidi mafiosi, avvenuti a Bagheria nel 1981, la cosiddetta «strage di Natale».
Oggi Paolo Giaccone è quasi dimenticato, tranne che dalla medicina accademica e da alcuni studenti. In una recente manifestazione pubblica un'autorità istituzionale ha elencato puntualmente le decine di vittime uccise dalla mafia: magistrati, prefetti, carabinieri, forze dell'ordine, politici, giornalisti, sacerdoti. Tutti tranne Giaccone. Ho provato amarezza e melanconia. Al medico legale è intitolato il Policlinico universitario e una via nel quartiere Pallavicino. Semplici indirizzi. La sua sopravvivenza è garantita oggi quasi esclusivamente dai postini, dai navigatori satellitari, dalle mappe topografiche cartacee e informatiche, dagli stradari. Un nome come tanti altri.
Profondo è il pozzo della storia, in accordo con Thomas Mann. È necessario togliere la polvere che si accumula sugli eventi umani, tessendo i fili della memoria e ricordando Paolo Giaccone e il suo magistero, riportarlo alla luce per contribuire e diffondere la cultura della legalità, il rigore del vivere civile, l'educazione dei giovani. Precetti che egli praticò nella sua esistenza e promosse dalla cattedra universitaria.
Quasi trent'anni dopo i ricordi si possono confondere. Siamo rimasti in pochi ormai - nella facoltà medica di Palermo - tra coloro che l'hanno conosciuto da vivo e hanno lavorato e insegnato con lui.
Giaccone era nato a Palermo il 31 marzo del 1929, da una famiglia di antiche e qualificate tradizioni mediche. L'istruzione cattolica dei padri gesuiti lo permeò per tutta la vita, unita a sentimenti di solidarietà civile e di impegno sociale. Si iscrisse, nel 1947, a medicina, frequentando l'Istituto di medicina legale, allora diretto dal professore Ideale Del Carpio; nel 1953 Giaccone si laureò con il massimo dei voti e la lode, con una tesi in ematologia forense.
Dopo la laurea il giovane medico frequentò per un anno a Parigi importanti laboratori scientifici; contemporaneamente iniziò la sua carriera nell'ambito della medicina legale accademica, con progressione costante e meritoria: incaricato di antropologia criminale, titolare di medicina legale a Giurisprudenza, professore di ruolo di medicina legale nella Facoltà medica del nostro ateneo.
Con il professor Del Carpio fu ideatore e fondatore del centro trasfusionale dell'Avis, donando per ben 56 volte il suo sangue, l'ultima volta appena una settimana prima della sua scomparsa. In tema di donazioni di organi e sangue fu antesignano. Incitava, infatti, con scritti e discorsi sapienti, a trasformare un transitorio atto di pietà in «cultura della donazione», cioè in un costume diffuso e costante tale da divenire cosciente civismo.
Uomo serio, equilibrato, antiretorico fu profondamente legato alla famiglia. Ebbe alto il senso delle istituzioni. Giaccone fu per decenni il consulente della magistratura, delle istituzioni, dei corpi dello Stato. Le sue perizie e autopsie su illustri personaggi rappresentano uno spaccato dei delitti della criminalità organizzata di quei decenni: Piersanti Mattarella, Michele Reina, il colonnello Russo e il capitano Emanuele Basile, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Lenin Mancuso, Mario Francese.
Nessuno può e vuole fare una graduatoria degli eroi. Ma mentre per alcune professioni si può pensare anche ad una morte drammatica, Paolo Giaccone voleva solamente dedicarsi ad una vita di studi, insegnamento e ricerca scientifica, coltivando i suoi hobby, primi fa tutti la musica.
Era animato da «passioni abituali»: onestà, onore, rispetto degli uomini, rifiuto della corruzione e delle intimidazioni. La sete di legalità lo portava a non temere di affrontare le zone di rischio. Un eroismo quotidiano senza riflettori, che ogni buon professionista dovrebbe praticare. Un dovere continuo, semplice, possibile, ordinario. Quel giorno Paolo Giaccone morì anche per tutti i medici che agiscono con rettitudine.
I recenti successi di magistratura e forze dell'ordine nella battaglia contro la mafia, fanno pensare a molti che la criminalità organizzata è ormai sgominata. Non è così. La mafia può essere paragonata alla tubercolosi: anche quando la malattia è clinicamente spenta, il bacillo responsabile rimane nel corpo «murato vivo», capace quindi di infettare nuovamente con virulenza.
Non bastano le azioni repressive. Solo la cultura è capace di estirpare definitivamente il bubbone della mafia, oggi più subdola perché può insinuarsi sempre più diffusamente nelle professioni, nella borghesia, nell'economia, ad opera di alcuni «colletti bianchi» avidi, corrotti, pronti a favorire la mafia per obiettivi di ricchezza e potere.
In un recente convegno, organizzato dalla Banca d'Italia a Palermo, il procuratore della Repubblica Francesco Messineo ha affermato che «in Sicilia la presenza criminale nella economia non è fenomeno sporadico ed eccezionale, ma endemico e sistemico e che l'economia criminale non si muove accanto ed in parallelo con l'economia sana, come un mondo diverso, ma la innerva e la condiziona profondamente dall'interno».
Mafia e corruzione sono problemi culturali prima che criminali. Cultura, etica professionale e lavoro come anticorpi contro criminalità organizzata e malaffare. Per alimentare un grande fiume collettivo di denunce e riscatto. Per ripristinare la fiducia tra cittadini e tra cittadini ed istituzioni.
È nostro dovere - commemorando il professor Paolo Giaccone - insegnare alle nuove generazioni l'esistenza di una cultura diversa, opposta a quella mafiosa, con una didattica fatta con intensità e con profonda passione civile, quasi un antidoto contro la rassegnazione. Non vuoti discorsi - come spesso avviene - che infliggono parole, più che segnare regole di vita. Una lezione in cui è profondo l'interesse per una società senza violenza, per il rispetto dei diritti, per la pratica dei doveri, per la fondamentale importanza dei valori. Per rompere la corazza dell'indifferenza o, peggio, della connivenza. La parabola della vita di Paolo Giaccone si innesta in questo solco. Il sogno di un'altra Italia, di un'Italia pulita.

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