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Rottura Berlusconi-Fini: non un delitto ma un errore

Rottura, dunque, fra il premier Berlusconi e Gianfranco Fini. Una rottura che il presidente della Camera, e i suoi fedelissimi, hanno voluta e cercata con determinazione, con tenacia, si potrebbe dire con premeditazione. Forse non è un delitto politico, probabilmente – ed è più grave – magari è soltanto un errore. Diabolicamente coltivato e reiterato.  È certo che la pazienza del Cavaliere è stata messa a durissima prova da uno stillicidio, per mesi, di contrapposizioni, punzecchiature, precisazioni pretestuose nemmeno la pazienza di Giobbe avrebbe retto, alla fine il premier fondatore del Pdl ha dovuto prender atto che la stragrande maggioranza del Popolo della libertà chiedeva un pronunciamento netto, la cacciata di Fini.



Il braccio di ferro non è finito, Berlusconi ha fatto osservare che il fondatore di un quasi partito (del quale finora sono stati formalizzati solo i gruppi parlamentari non può restare presidente della Camera, carica che richiede uno spirito super partes. E adesso, che cosa succede? Berlusconi afferma che continuerà a governare nonostante gli oltre quaranta fra deputati e senatori che sono passati nei nuovi gruppi, Gianfranco Fini da una parte assicura il suo appoggio esterno al governo, dall’altra si riserva mani libere con tutte le minacce che questa espressione contiene. In queste condizioni, in realtà, tutte le imboscate sono possibili e le difficoltà nuove per il governo sono innegabili. Inutile dire che, com’era prevedibile già dai mesi scorsi la linea di Fini ridà un fil di fiato a un’opposizione inerme, afasica e sostanzialmente fuori gioco. Con quel po’ di fiato la stessa opposizione chiede le elezioni anticipate o un governo di transizione. Il ricorso anticipato alle urne interessa realmente tutte le opposizioni? Lo stesso Fini dovrebbe riflettere prima di lavorare ad una conclusione anticipata della legislatura, perché i sondaggi – puntualissimi in questi casi - lo danno fra l’1 e il 4 per cento.


Coi governi di transizione, non sempre di fausta memoria, bisogna poi andarci molto cauti. Il governo in carica ha innegabilmente conseguito contro la crisi dei buoni risultati, più rincuoranti di quelli registrati nel resto d’Europa: la disoccupazione è leggermente diminuita, è salita la produzione industriale, si prospetta una tassazione più leggera per i redditi da lavoro. È utile interrompere questo processo con una crisi che ricorda quelle ricorrenti negli Anni Sessanta? Si tratta di valutare gli interessi reali del Paese, senza anteporre ad essi i calcoli delle fazioni.


Qualche osservatore segnala il pericolo che la frattura fra Berlusconi e Fini preluda alla fine dell’esperimento del bipolarismo italiano. Non è il momento delle profezie, ma del realismo responsabile il ritorno al vecchio sistema non gioverebbe all’Italia e, d’altra parte, la conservazione del bipolarismo dovrebbe trovare concordi Pdl e Pd. I due maggiori partiti non hanno alcun interesse alle frantumazioni che comporterebbe un tuffo nel passato. Ma è inutile spingersi a tentoni più avanti. I prossimi mesi ci diranno quali tormenti politici ci aspettano per ora va registrato che nel centrodestra ci sono frange che sperano nelle elezioni anticipate, vedendole quasi come una resa dei conti in momento, fra l’altro in cui le opposizioni appaiono deboli. Ma c’è anche chi confida nella capacità di mediazione del Cavaliere che di la delle apparenze ha sempre dimostrato realismo e pragmatismo.

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