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La via per la ricostruzione in Afghanistan

Hanno parlato in molti, nel «vertice» di Kabul; anche perché in molti erano. C'è stata una adunata generale dei Paesi che in un modo o nell'altro sono coinvolti nelle vicende afghane. I più sono venuti a fare promesse «pacifiche», da dopoguerra. Hillary Clinton è venuta per preannunciare l'arrivo dell'ora del dopoguerra. Lo ha fatto in termini meno diplomatici e più decifrabili del solito: insieme alla ridefinizione delle promesse più importanti, quelle americane, ha risposto alla domanda più frequente e più urgente degli ultimi mesi: se nel dilemma sempre più evidente fra la strategia militare e quella politica degli Usa in Afghanistan rimane valido l'impegno preso da Obama di cominciare entro un anno lo sgombero delle truppe americane. E il segretario di Stato ha risposto chiaramente di sì. Le disavventure recenti sul campo di battaglia, le crescenti divergenze con le autorità politiche di Kabul e le polemiche interne degli Stati Uniti non hanno indotto Obama ad abbandonare la strategia preannunciata con tanto impegno. Nel luglio del 2011, pertanto, cominceranno a tornare a casa i soldati Usa e comincerà, con lo stesso ritmo, la restituzione alle forze di sicurezza afghane della responsabilità delle operazioni militari. Un trasferimento graduale ma che ha un termine preciso: entro la fine del 2014.
Naturalmente la Clinton ha ripetuto che l'inizio del ritiro «non significa che il nostro impegno sia finito: l'America continuerà ad aiutare l'Afghanistan militarmente e materialmente, ma anche in "buoni consigli"». Rimarrà come «consulente» per facilitare, o meglio alleviare le difficoltà di un processo di costruzione di uno Stato afghano in grado di difendersi. Un impegno analogo l'ha preso contemporaneamente il presidente Karzai, che ha esposto un programma di «reintegrazione e riconciliazione». Dunque, in primo luogo, di dialogo con coloro che hanno sostenuto finora i talebani e che adesso sono disposti ad accettare una Costituzione che rispetti certi fondamentali diritti umani (la Clinton ha promesso dal canto suo che l'America«"non dimenticherà le donne afghane, perché la pace non può venire tutta a loro spese»). Quello che i governi americano e afghano propongono è dunque una sorta di «arco costituzionale», il diritto in linea di principio ad essere associate al potere tutte le forze politiche (che in quel contesto significa anche e soprattutto militari) e «religiose» che si impegnino senza riserve a rompere (quelle che ancora non hanno rotto) ogni rapporto, complicità e collaborazione con Al Qaida.
È il progetto cui Karzai lavora da tempo e che rientra nella strategia più ampia di Obama: delimitazione più precisa del «nemico», concentrazione degli sforzi anche militari contro Al Qaida, una sorta di «amnistia» per coloro che con Al Qaida hanno avuto a che fare ma che ora hanno rotto. Questo punto programmatico solleva comprensibili riserve da parte dei comandi militari Usa, che sollecitano maggiore cautela e vorrebbero avere le mani più libere.
Ma il tema centrale della «dottrina Obama» in politica estera è proprio quello di «diminuire il numero dei nemici» non solo eliminandoli ma anche, dove è possibile, farli diventare meno nemici, «neutrali» e, col tempo, amici, in modo da delimitare chiaramente chi sono gli inconciliabili e cercare di isolarli. Una strategia non troppo dissimile da quella sperimentata, con successo iniziale anche se negli ultimi tempi si annunciano nuove difficoltà, in Irak. Da tempo in Afghanistan la guerra coesiste con le trattative, aperte o sott'acqua, che mirano a concluderla, con risultati e fasi alterne. L'Afghanistan è tutt'altro che in pace (lo dimostra anche la serie di attentati nelle ore immediatamente precedenti l'arrivo a Kabul della Clinton e dei rappresentanti degli altri Paesi) ma c'è un dato molto incoraggiante. A conferma di una sensazione da tempo diffusa, il capo della Cia Leon Panetta ha confermato che secondo le valutazioni più prudenti nell'intero Afghanistan si trovano in questo momento da un massimo di cento a un minimo di sessanta membri di Al Qaida, che dieci anni fa era la forza dominante. I terroristi seguaci di Osama Bin Laden non sono scomparsi, ma si trovano ora quasi tutti in Pakistan. La guerra grande non è finita, quella «piccola» potrebbe arrivare fra non molto a un armistizio.

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