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La crisi della carta stampata nei libri

Crisi dei giornali? Ormai se ne parla tutti i giorni. Le motivazioni sono note: i lettori si riducono sempre di più. Non si riescono a conquistare lettori giovani che sono sempre più interessati a Internet, all'iPad, alla radio e alla tv, oltre che ai cellulari, dove ormai convergono diversi media. La pubblicità si riduce a vista d'occhio e i settimanali, nel tentativo di conservare o appassionare lettori interessati alle innovazioni si sono inventati le letture cine-tv, sfruttando le risorse dei palmari che «leggono» i codici stampati. Ma basterà tutto questo a frenare l'apocalisse dei quotidiani e dei settimanali? Secondo una inchiesta di due giornalisti esperti di stampa americana, Massimo Gaggi e Marco Bardazzi (L'ultima notizia, Rizzoli) assolutamente no. Loro si riferiscono ai giornali americani, dove ormai la moria di testate non si conta più, ma anche lo stato di salute dell'editoria europea non è migliore. Negli Usa la scomparsa del Rocky Mountain, un quotidiano con 150 anni di storia, è diventata la vicenda simbolo della crisi, ormai generalizzata, della stampa: gli «imperi di carta», gruppi che si consideravano orgogliosamente la spina dorsale della democrazia americana (e che erano anche macchine di grandi profitti) crollano, uno dopo l'altro. Quando è possibile l'informazione si trasferisce sul web. Da tempo è iniziata una nuova era: quella dei social network, dei Twitter, dei Facebook, dei blog. Forse in Italia non ce ne siamo ancora accorti perché gli editori, nella grande maggioranza dei casi, ricevono cospicui finanziamenti pubblici. Ma anche questa forma di assistenzialismo è destinata ad entrare in crisi e lo Stato sta già cominciando a tagliare i contributi. Che succederà allora? La Fnsi pensa di ricorrere agli scioperi, alla manifestazioni di piazza per difendere privilegi e prebende pubbliche, anche per giornali che da anni sono fuori mercato? Siamo dunque all' apocalisse della carta stampata? Gaggi e Bardazzi sono molto pessimisti a giudicare dall' impietosa analisi della stampa Usa, in grave difficoltà e, in alcuni casi, all'agonia. Penso sia necessario (e non più procrastinabile) ripensare e reinventare il giornalismo nell'era digitale. Il giornalista oggi deve essere ancora più preparato, nell'uso della tecnologia, delle lingue, dello stesso approccio alla cronaca, all'economia, alla politica. Senza nostalgie di un passato affascinante, romantico, che però rimarrà consegnato inesorabilmente alla storia. Forse i giornalisti di domani (ma anche quelli di oggi) dovrebbero affrontare alcune questioni poste da John Allen Paulos nel libro Un matematico legge i giornali (Rizzoli). L'autore di questo saggio, un professore di matematica (alla Temple University di Philadelphia), approfondisce un nuovo modo di leggere i quotidiani, più disincantato e infinitamente più divertente. Anche se - afferma - se questo metodo venisse ampiamente pubblicizzato il 75,94% dei lettori non stringerebbe mai la mano a un giornalista. Infatti, secondo Paulos, oltre a che cosa, dove, quando, perché e come, i giornalisti dovrebbero rispondere ai seguenti quesiti: quanti? con quali probabilità? quale frazione? E a tante altre domande. Forse però il matematico sconosce le regole fondamentali del giornalismo, che sono quella della velocità e dalla stringatezza: cose molto diverse dai saggi e dai lunghi approfondimenti. Infine, due segnalazioni. La prima riguarda un libro curioso e documentato di Gian Carlo Ferretti e Stefano Guerriero, due studiosi e docenti universitari. Si tratta di un lungo e stimolante viaggio sulle tracce di autori e opere, attraverso recensioni e saggi, interventi e schede (Storia dell'informazione letteraria in Italia. Dalla Terza pagina a Internet. 1925-2009, Feltrinelli). Un' opera utile anche se non completissima e politicamente un po’ di parte. Ma forse, per un lavoro veramente completo, sarebbe necessaria una vera enciclopedia. L'altra opera è un romanzo della scrittrice Michèle Petit (Elogio della lettura, Pontealle Grazie). Per la verità l'autrice è un' antropologa che ha condotto diverse indagini nelle biblioteche francesi sulle motivazioni della lettura. La domanda chiave è sempre la stessa: ma perché leggere dovrebbe essere un bene? Le risposte non sono quelle scontate. È questa la vera sorpresa.

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