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L’Italia e la necessità di fare le riforme

L’Italia, non più «espressione geografica», ripensa, non senza orgoglio, al suo passato e il capo dello Stato, Giorgio Napolitano guarda, con occhio lungo, al suo futuro. La festa della Repubblica cade nell'inizio delle riflessioni e dei festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità. Tutto si tiene, è un momento importante per pensarci e ripensarci come società e come Stato. La frammentazione preunitaria è lontana, l'immagine di un'Italia politicamente nana nel consesso delle nazioni sfuma nel tempo, ma gli esami non finiscono mai. Oggi non ci preoccupano gli zuavi del Papa, né le insidie di un'Austria che per noi non era felix, abbiamo smesso di piangere sulle nequizie, vere o presunte, del Borbone. Ma le preoccupazioni non mancano. C'è una crisi globale che morde famiglie, imprese, occupazione; c'è uno spirito di divisione che lacera la società e rende sterile la legittima contrapposizione politica. Anche nel 1861 c'erano una destra e una sinistra, ma i loro contrasti non mettevano in discussione una certa idea dell'Italia, la continuità e la condivisione del suo destino. Nel Sud c'era una guerra civile che creava problemi morali e politici sia a destra che a sinistra, da Massimo D'Azeglio ad Aurelio Saffi, ma la visione dell'Italia unita, di là dei Savoia, non era in discussione.
Ed è a questo spirito di sostanziale unità patriottica (sia consentito di usare parole desuete) che ha fatto preciso riferimento il presidente della Repubblica, parlando di un'Italia che deve uscire dalla crisi con un grande sforzo, fatto anche di sacrifici, per crescere tutta, da Sud a Nord.
Il nodo, tuttavia, è politico. Napolitano ha sottolineato che il confronto fra le parti politiche non deve produrre soltanto scontro e conflitto. «Ci accomuni un forte senso delle responsabilità», ha concluso il presidente, augurando un buon 2 giugno a tutti.
Da tempo il capo dello Stato esorta a superare la logica del «muro contro muro», da tempo ammonisce a un confronto che stemperi le sue punte più velenose nell'interesse del bene comune, nel rispetto dei cittadini che in un momento difficile sono quasi tutti timorosi e frastornati.
E tuttavia le esortazioni dell'uomo del Colle finora non sono state raccolte. La politica italiana prosegue la sua corsa seguendo la logica del «muro contro muro». La maggioranza spesso lancia i rampini del dialogo, ma l'opposizione, divisa al suo interno, non intende confrontarsi sulla realtà quanto sui pregiudizi.
Usciamo dagli equivoci. La manovra varata dal governo per mettere in sicurezza i conti pubblici è, in certo senso, un atto dovuto, richiesto dall'Unione europea per evitare che la speculazione, dopo il caso greco e i malesseri portoghese e spagnolo, mettesse in ginocchio l'euro. Però la manovra non basta, occorrono riforme vere che spazzino le incrostazioni corporative e neo-feudali che l'Italia ha conservato.
Proprio guardando alla necessità di queste riforme, Giorgio Napolitano ha rinnovato la sua esortazione a un nuovo stile di contrapposizione politica, teso a conseguire i risultati di cui il Paese ha bisogno. Questa volta il messaggio che giunge dal Quirinale sarà raccolto o cadrà ancora una volta nel vuoto? La parola passa alla classe politica nel suo complesso: dovrà dimostrare quale consapevolezza ha dell'unità d'Italia e della Repubblica. I cittadini stanno a guardare.
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