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Le intercettazioni e quella privacy a rischio

E' prevedibile che quando, fra qualche giorno, le nuove norme sulle intercettazioni arriveranno in aula al Senato il dibattito salirà d'intensità e di tono, perché l'intera materia tocca nervi scoperti della sensibilità politica, civile, costituzionale. Sgombriamo il campo da possibili equivoci: le intercettazioni sono uno strumento indispensabile per le indagini, specie per quelle più complesse e difficili che riguardano, ad esempio, terrorismo, criminalità organizzata, corruzione. Nessun Paese si priva di un simile strumento e l'Italia, con l'attuale governo, non intende riportare indietro le lancette dell'orologio. Ma il vero problema non è costituito dalle intercettazioni e dal loro uso nel processo penale, quanto dalla loro pubblicazione sui giornali, secondo collaudati sistemi di fuga delle notizie, spesso da uffici giudiziari- colabrodo.  E' qui il vero nodo, Poiché le intercettazioni sono come le ciliegie, una tira l'altra, nel meccanismo delle registrazioni a strascico spesso finiscono persone le cui parole e le cui debolezze, pur prive di rilevanza penale, finiscono squadernate sulle pagine dei giornali, in un'autentica gogna mediatica che è già pena, anche in assenza di colpe. Guardiamoci un poco alle spalle. Nel nostro Paese il meccanismo delle intercettazioni spifferate è stato spesso un vero e proprio tritacarne, che ha macinato a destra e a sinistra. Il giornalismo d'inchiesta è sempre più flebile, non ci sono tanti cronisti che ricostruiscono retroscena, anche scabrosi, individuando le persone interessanti e riportandone, con fedeltà e responsabilità, le dichiarazioni. In pochissimi cercano "gola profonda", il miglior cronista e quello che usufruisce dalla più ricettiva casella postale, dove puntualmente finiscono, per contiguità politica o ideologica, le magiche trascrizioni delle intercettazioni. Le nuove norme puntano a limitare questa passiva ricettività, a rompere il giocherello della "sbobinatura" impunita, alla quale puntualmente seguono inutili inchieste "contro ignoti" per violazione del segreto istruttorio. Il disegno di legge sulle intercettazioni non ha stimolato alla protesta e alla rampogna soltanto i politici dell'opposizione ( parecchi dei quali, tuttavia, sono consapevoli dell'anomalia italiana) ma anche tantii giornalisti che nel testo della legge vedono un insopportabile bavaglio e un fiero colpo al diritto costituzionalmente garantito della libera informazione. In un Paese libero, libera è la protesta, sale della democrazia. Ma colpisce che tanti giornalisti abbiano omesso anche l'ombra, il tentativo di autocritica. Ma se la materia delle intercettazioni violate è degenerata in Italia, noi giornalisti non abbiamo nulla su cui fare ammenda? Il gioco al massacro ha reso piccanti le pagine di tanti giornali, campagne mediatiche si sono imbastite sui sospiri e sui compiacimenti affidati alla cornetta del telefono. Il telefono, la tua croce. "Abbiamo una banca"; "Ti bacio in fronte": sono due classici del giornalismo che non scrive ma trascrive. E adesso tutti danno lezione di diritto costituzionale. Ti tirano dietro l'articolo 21, ma nessuno sembra ricordarsi del diritto alla riservatezza come diritto assoluto della personalità. Oggi la chiamano privacy, ma l'uso dell'inglese non l'irrobustisce. Nessuno ricorda che, oltre all'articolo 21, c'è anche l'articolo 111 della Costituzione, che prevede la riservatezza non soltanto per chi è finito nelle reti a strascico delle intercettazioni. Questo articolo spiega che chi è indagato deve essere informato degli addebiti mossigli nel più breve tempo possibile. E "riservatamente". Non con l'ultima edizione.

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